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"Mario, scusami, non volevo dirlo."

La voce di Claudio parve un sussurro inconsistente. Per quanto avesse provato a reprimere le sue sensazioni, non riusciva a smettere di mostrargli sempre più spesso la sua parte più egoista, quella che aveva piacere a ferire. La sua parte malvagia. Certo, sapeva di non esserlo, e l'ultima cosa che avrebbe voluto fare era fargli del male. Eppure gli veniva naturale ferirlo.

Trovavano un punto d'incontro soltanto nel dolore. Solo in quel momento sapevano di appartenersi, quando il dolore diventava più forte di tutto, anche dell'amore che provavano l'uno per l'altro.

"Certo che volevi dirlo, Claudio. È ovvio che volevi dirlo." Non poteva prendere quelle parole in una maniera peggiore. Non poteva accoglierle con più difficoltà e più stizza.

Claudio non poteva vivere in quel libo. Neppure Mario poteva. Continuavano a non comprendersi.

E ad amarsi pur non comprendendosi. Ormai risultava chiaro anche a lui, che dei sentimenti di Mario non ci aveva mai capito molto.

Eppure dietro quel dolore riuscì a vedere la stessa necessità d'amare che lui stesso sentiva.

"Ti prego... io... avevo bisogno di farti male, perché so che tu ne farai a me."

Mario rise amaramente. "Come se già non me ne facessi abbastanza. Ma non lo vedi, Claudio? Non lo vedi che non facciamo altro che ucciderci a vicenda? E il peggio è che più proviamo a toccarci con delicatezza e più continuiamo a ferirci così profondamente che non sappiamo più come medicarci. E... ti prego, Claudio, guardami."

Aveva smesso di farlo perché non riusciva a sostenere quello sguardo. E non voleva sentire quelle parole proprio perché erano vere. Claudio sapeva che non riuscivano a star bene, e che stare vicini bisognava distruggersi.

Non avevano ancora imparato a sopravviversi.

"Claudio, ho bisogno di un po' d'aria. Vado a Glasgow e appena posso torno e ne riparliamo.", continuò Mario. "Perché per quanto ti ami, io non so come si fa. Non so come si fa ad amarti, non sono bravo come Francesco. Non riesco a gestirlo. Mi viene fuori come un'ira folle, qualcosa di prepotente, che mi inonda, mi inabissa. E io non ci capisco più niente."

Claudio provò a frenare il ritmo frenetico del suo cuore senza risultato. Forse Mario lo stava lasciando, ma lui non riusciva a pensare ad altro che al fatto che, finalmente, gli aveva detto chiaramente di amarlo.

E lui? Lo amava lui?

Non aveva mai smesso di farlo, in quel modo tutto loro che erano gli unici a capire. Ma aveva ripreso ad amarlo con la carne? Aveva ripreso ad amarlo in modo che fosse l'unico, e che non esistesse più nessun Francesco a contendersi il suo cuore?

Forse neanche in quel senso aveva smesso di amarlo, senza saperlo.

Si era illuso di potersi liberare di un amore che non gli avrebbe mai lasciato scampo.

"Io ho bisogno che tu resti...", gli vomitò contro Claudio. Non poteva accettare che andasse via, non poteva accettare che, ancora una volta, non fosse lui la priorità, e che gli preferisse il lavoro, o qualunque altro impegno avesse.

"Ti chiedo solo qualche giorno, prometto di tornare."

Ma quello non bastava. Non bastava in quel momento in cui Claudio sentiva la necessità di averlo lì. Non bastava quando immaginava il suo futuro e non riusciva più a vedere Mario. Era terribilmente spaventato da quello che sarebbe potuto accadere.

Non mi avete fatto nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora