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Claudio andava avanti e indietro per casa, cercando di ignorare il cellulare che continuava a squillare. Muto, perché aveva messo il silenzioso per non svegliare Francesco. Aveva pianto tanto quella sera, e poi era crollato sul divano. Non se l'era sentita di svegliarlo. Lui invece non ne voleva sapere di dormire. Il peso di cui credeva di essersi liberato, quello della scelta, ora gravava di nuovo sulle proprie spalle. Stavolta però aveva una consapevolezza maggiore. Per quanto fosse arrabbiato con Mario, si era reso conto durante tutta quella giornata, che la cosa migliore da fare sarebbe stata allontanare Francesco. Si sentiva sollevato dal mancato matrimonio, non addolorato o pentito. Quindi doveva dedurre che in fin dei conti quella scelta che credeva giusta non era stata proprio la migliore che avesse compiuto.

Si sedette stancamente su una sedia della cucina e accese una sigaretta per scacciare i pensieri che lo stavano tormentando continuamente negli ultimi giorni.

Proprio in quel momento il telefono s'illuminò di nuovo e sul display comparve il nome di Mario. Fu forse per la consapevolezza che neanche lui avesse dormito, per l'insistenza che stavolta Mario gli stava dimostrando, per il fatto di averlo visto sconvolto poche ore prima, che Claudio decise di rispondere. Erano le cinque di mattina quando sentì nuovamente la sua voce."

Immediatamente il cuore gli balzò in gola.

"Pronto."

"Finalmente mi hai risposto, credevo di impazzire."

Claudio riprese a respirare. In qualsiasi modo andassero le cose Mario era sempre l'unica persona in grado di farlo sentire meglio in ogni circostanza.

"Mario, ti avevo detto che non era il momento di parlare."

"Sono qua sotto.", gli disse l'altro a bruciapelo. E Claudio non riuscì a fare a meno di sentire il cuore scoppiare nel petto. Erano le cinque del mattino e Mario era lì. Se in passato era scappato, aveva commesso degli errori che qualcuno avrebbe potuto definire imperdonabili e lo aveva allontanato, in quel momento sembrava invece non avere alcuna intenzione di abbandonarlo. E lui stava bene, nonostante tutto. Riusciva ad andare avanti soltanto grazie all'idea di riavere il suo Mario, quello con cui aveva trascorso la sua adolescenza, il Mario che non aveva più ritrovato, completamente suo. Una persona disposta a comprenderlo e ad amarlo, una persona in grado di affrontare i problemi insieme a lui, incapace di recidere quel legame, non più disposta a scappare. Quel nuovo Mario gli sembrava quello: il suo vecchio Mario.

"Non puoi stare qui.", si costrinse però a dirgli, perché c'era sempre Francesco che dormiva sul divano.

"Non posso?", chiese l'altro con una voce indefinibile.

"Non ora. Per favore non ora."

Mario sospirò. "Perché devi sottoporci a questa tortura?", chiese con voce tremante. "Ti prego, fammi salire. Capisco il momento e giuro che non ti tocco, se non vuoi."

Per quanto Claudio sapesse che sarebbe stato molto più saggio evitare di parlare con lui in quel momento, per quanto fosse consapevole del fatto che avrebbe fatto molto meglio a rimandare, sapeva anche di non avere potere di fronte a certe cose. Così, mentre ancora Mario aspettava una risposta, afferrò le chiavi dal centrotavola e spense la sigaretta nel posacenere. "Sto scendendo."

Chiuse la telefonata e si precipitò fuori.

Corse scendendo le scale per fare il prima possibile, perché il desiderio di vedere Mario era diventato improvvisamente fortissimo. In quel momento ne aveva davvero bisogno. Quando arrivò vicino al portone, però, rallentò. Poteva vederlo appena a qualche metro da lui attraverso il vetro e provò così una strana sensazione. Non sapeva in che modo comportarsi o come muoversi, non conosceva l'esatto motivo per il quale Mario fosse lì.

Non mi avete fatto nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora