13 Novembre 2015

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Non mi avete fatto niente
Non mi avete tolto niente
(...)
Perché tutto va oltre le vostre inutili guerre.






Qualcuno ha detto che la morte è una livella. Rende tutti uguali: chi ha sofferto e chi è stato più fortunato, chi ha perso tutto e chi ha ancora tanto da vivere. A Claudio la morte non aveva mai fatto paura. L'aveva sempre vista come qualcosa di lontano, che non gli potesse capitare presto. Qualcosa da guardare con distanza.

Eppure quel giorno, di fronte ad una strage che aveva del sovraumano, l'aveva sentita bussare forte alla sua porta.

Quando lui, Mario e Aldo erano entrati in quel teatro non avrebbero mai pensato di essere così vicini alla morte, eppure Mario aveva avuto da subito una strana sensazione e l'aveva palesata ad entrambi. Claudio ci aveva persino riso su. Il suo adorabile fidanzato trovava sempre qualcosa per la quale sentirsi in ansia, e anche quando non l'aveva provava ad inventarla.

Eppure, in quel momento, mentre Claudio era chiuso nel bagno del Bataclan, la sentiva lui stesso, vicina, nell'altra stanza. Non si rese conto di cosa stesse accadendo, però, finché non tornò nella sala principale del teatro e si ritrovò davanti uno spettacolo raccapricciante.

Non erano quelle tre persone vestite di nero con i kalashnikov a fargli paura. Non era la loro disumanità, il loro sparare come se stessero facendo il tiro al bersaglio. Non era neanche il fatto che stessero sparando per uccidere. In fondo cos'era la vita, una volta che era finita? Sarebbe rimasto il nulla, un nulla a cui tutti avrebbero dovuto abituarsi, prima o dopo. Un nulla in cui tutti si sarebbero persi.

Fu incredibile come in un momento Claudio riuscì ad essere così lucido. Osservò la scena dall'esterno, come se non stesse accadendo proprio a lui. Non provò nulla, assolutamente nulla. Non sentì paura per sé. Si sentiva, anzi, un automa privo di vita.

Però aveva paura per Mario. Quando realizzò che in mezzo a quella folla di persone che stavano rischiando la vita, oltre lui ci fosse anche Mario, ebbe un crollo. Cadde con le ginocchia a terra e sentì il peso del dolore addosso. Un dolore straziante. Urlò silenziosamente, perché non ce la faceva neanche a farlo per davvero. Non aveva più voce, non sentiva più nulla, solo un fischio nelle orecchie che lo distraeva dalla realtà.

Era soltanto un sogno, solamente un terribile sogno da cui si sarebbe svegliato presto.

Una folla di persone che correvano via lo investì, e lui si rese conto che stavano fuggendo dietro le quinte del teatro. Ebbe l'istinto di fuggire anche lui per provare a mettersi in salvo. Avrebbe potuto, ma non riusciva neanche a pensare di andarsene senza Mario. Aguzzò la vista e si alzò da quella posizione per cercarlo silenziosamente con lo sguardo, ma si rese conto subito che sarebbe stata un'impresa impossibile trovarlo in mezzo a tutta quella gente, in quel clima di terrore e d'angoscia, di morte e di dolore. Sentì che gli girava la testa, e perse contatto con il terreno. Barcollò in preda a un momento di sbandamento. Vide i corpi che cadevano, uno a uno.

E poi il fischio s'interruppe e lui sentì le urla. Se anche avesse provato a chiudere gli occhi le urla non sarebbero terminate. Urla disperate, disumane, terribili.

Eppure, in mezzo a tutto quel dolore, Claudio sentiva che Mario fosse vivo. Lo sentiva vicino, una presenza viva e pulsante. Gli sarebbe bastato allungare una mano per afferrarlo. E mentre pensava ai suoi profondi occhi neri, in un flash, li vide davanti a lui.

Mario era lì. Toccarlo gli sembrò un sogno. Allungò una mano e sentì la consistenza della sua pelle. Era in lacrime, completamente perso, come se non sapesse neppure dove fossero. Ma non era morto. Non era neppure ferito.

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