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10 Ottobre 2021

Era da tanto che Mario non andava a Negrar. Non aveva più alcun legame lì, né direttamente né indirettamente. Vi aveva trascorso però dei momenti felici, e ricordarli gli faceva sempre piacere.

Era per quello che aveva deciso di tornarci. Aveva bisogno di sentire di nuovo certi profumi, di ritrovare certe atmosfere, di rivedere certi luoghi che gli avevano segnato l'adolescenza condizionando, comunque, la sua intera vita. Si era messo in macchina con la speranza di ritrovare una parte del vecchio Mario che non riusciva più a percepire. Eppure sapeva che fosse sempre lì, sepolta da qualche parte in fondo a lui. Forse era il fatto che Claudio non si fosse fatto più vivo negli ultimi giorni, dopo il modo in cui l'aveva trattato, a renderlo così bisognoso di aggrapparsi a qualcosa che li aveva riguardati entrambi. Aveva bisogno di sapere cosa Claudio stesse pensando, aveva bisogno di sapere se poter insistere o, al limite, dover rinunciare a lui almeno per il momento. Perché era vero, lo voleva. Lo voleva nella sua vita per sempre, e lo desiderava con tutto se stesso, ma non poteva lasciarsi andare se era ancora il solo a volerlo. Doveva rispettare in tutto e per tutto i modi e i tempi di Claudio, altrimenti avrebbe mandato tutto all'aria, e quella era l'ultima cosa che voleva. Arrivato a Negrar aveva parcheggiato la macchina in uno dei vicoli della città a lui più familiari e aveva cominciato a camminare senza neanche sapere dove andare. Si osservava intorno e riconosceva luoghi e sensazioni che lo avevano segnato in un passato non troppo lontano, ma che gli sembrava parte di un'altra vita, ormai. Un passato vivo, ancora pulsante sotto la sua epidermide. Un passato che scorreva nelle sue vene come il sangue.

Mentre camminava si era reso conto di essere arrivato in un vicolo che conosceva bene, come se il cuore lo avesse guidato fin lì senza che lui stesso lo avesse preventivato. E quindi si era addentrato nella strada e l'aveva percorsa tutta fino ad arrivare in fondo, di fronte a una piccola villetta che Mario conosceva bene.

Ed era lì da mezz'ora, al freddo, cercando di capire se fosse opportuno bussare. Gli sembrava di sbagliare qualsiasi cosa facesse. Da una parte c'era la necessità, quella impellente, quella di sapere cosa Claudio avesse nella testa. Dall'altra invece aveva la paura di sbagliare, di fare qualcosa che non avrebbe dovuto, di perderlo per sempre.

Mentre decideva come muoversi, e stava quasi convincendosi ad andare via, però, dalla finestra spuntò un volto familiare. Mario sgattaiolò in fretta dietro ad una macchina sperando di non essere stato visto, ma pochi secondi dopo si aprì la porta di casa, e la voce di nonna Lia lo raggiunse.

"Mario, caro, quand'è che intendevi bussare?", chiese. Evidentemente si era accorta che fosse lì fuori, indeciso sul da farsi, e aveva pensato di dargli un incentivo. Il cuore di Mario, quindi, prese a martellare forsennatamente. Lo sentiva battere fino in gola per poi riscendere nella cassa toracica. Avrebbe potuto scappare. Avrebbe persino voluto farlo, se non fosse stato per la figuraccia con la nonna di Claudio, eppure decise di affrontare la situazione. Così uscì dal suo nascondiglio con un sorriso che sperava la nonna avrebbe accolto con entusiasmo.

"Buongiorno, signora. Come sta?", le chiese quindi. "Passavo da queste parti e ho avuto la curiosità di spingermi fin qui. Avrei voluto bussare alla sua porta, ma non sapevo se fosse il caso."

"Scherzi, Mario?", rispose subito lei, avvicinandosi ulteriormente. Mario affrettò il passo per ritrovarsi fuori la staccionata che recintava la villetta. "Certo che è il caso. Tu sei sempre il benvenuto." Lo abbracciò forte lasciando Mario senza parole. Una stretta ferma, sicura. Solo lei sapeva abbracciare così. "Anzi, perché non sei venuto prima a trovarmi? So che sei qui a Verona da un po'.", continuò.

Non mi avete fatto nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora