8. Elena

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Se ne stava stesa sul suo letto, con le gambe all'aria appoggiate contro al muro e le braccia allungate sopra la testa a fissare il soffitto. Notò una crepa impercettibile sul muro bianco, affiancata da una macchiolina quasi invisibile di muffa verdastra. Avrebbe dovuto dirlo a suo padre, ma lui non le rivolgeva la parola da ben quattro lunghissimi giorni.

Il motivo? Il suo inaspettato licenziamento da parte di Nicola. La sera di quella maledetta festa privata, a fine turno l'aveva richiamata in disparte e le aveva detto gentilmente di non presentarsi più al lavoro, senza spiegarle il perchè e quando lei l'aveva chiesto, lui la liquidò con un gesto della mano e con un categorigo: "Sei licenziata!".

In quei giorni di reclusione forzata, a causa delle pressioni continue da parte di Sasà, che era ritornato alla carica dopo averla scaricata, ripensò più e più volte a Michele.

Si maledisse per essersi fatta baciare con troppa facilità e per avergli permesso di toccarla in quel modo così intimo. Ma quel turbine di sensazioni che aveva provato assaporando le sue labbra carnose, tastando con le dita quel suo fisico tonico ed inebriandosi del suo profumo virile, battevano di gran lunga ogni suo pentimento.

Se avesse potuto, avrebbe vissuto di quelle sensazioni per tutta la vita.

Istintivamente si portò la mano destra sulla bocca, tracciando con le dita il contorno del labbro inferiore, soffermandosi più del
dovuto su quel punto esatto che lui aveva morso ripetutamente in quel loro bacio. Un calore improvviso le tinse le guance di rosso al ricordo ed una serie di brividi le percorse il corpo facendo affluire tutto il sangue tra le sue cosce, che strinse con forza tra loro in uno spasmo incontrollato.

Doveva smettere di pensare a lui in quel modo, anzi doveva proprio smettere di pensare a lui. Da quel che gli aveva raccontato Sara era un uomo molto pericoloso e anche depravato. Quando l'amica le aveva raccontato del loro "incontro" aveva provato un senso di fastidio e allo stesso tempo di sollievo, per non essere stata lei vittima dei suoi istinti perversi.

E se fosse successo a lei, come avrebbe reagito?
Si sarebbe tirata indietro?

Queste domande rimasero sospese nella sua mente per qualche minuto e lei non seppe darsi risposta in maniera sincera. Socchiuse gli occhi e si impose di non pensare più a lui e al suo bel viso.

Uno sbuffo spazientito le lasciò la gola, si annoiava terribilmente ma non aveva la forza, ne il coraggio di abbandonare la sua cameretta. Afferrò il suo cellulare dal comodino e poi rovistò con la mano nel cassetto per ritrovare i suoi auricolari. Una volta recuperati e infilati nelle orecchie e selezionata la sua playlist,socchiuse gli occhi estraniandosi dal mondo intero e ricolmò il silenzio in cui era avvolta da giorni con la sua musica preferita.

Quasi due ore più tardi, suo padre entrò nella sua stanzetta e la ritrovò addormentata con la musica a palla nelle orecchie. Le sfilò una cuffietta e la spinse delicatamente affinchè si svegliasse, ma Elena continuava a dormire beata piagnucolando parole prive di senso.

<Lena, svegliati a babbo. Hanno bussato> le disse scuotendola ancora, questa volta con più forza. La ragazza aprì gli occhi e si portò una mano al petto per lo spavento quando vide suo padre che se ne stava immobile accanto al suo letto.
<Sei impazzito, papà> farfugliò sfilandosi l'altra cuffietta e stropicciandosi gli occhi con i pugni chiusi.

<Hanno bussato alla porta, vai a vedere chi è, se è il fabbro di rimpetto digli che lo pagherò domani> affermò brusco per poi voltarsi di spalle ed uscire dalla sua stanzetta per rintanarsi nella sua camera da letto.

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