34. Elena

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Finalmente il giorno che tanto aveva atteso...era arrivato. Se ne stava in giardino con l'ansia a mangiarle lo stomaco e l'eccitazione a renderla impaziente. Da lì a poco le sue tre migliori amiche sarebbero arrivate alla villa per trascorrere insieme a lei il fine settimana.

Sorrise distrattamente osservando, attraverso la vetrata del suo studio,l'uomo che le aveva rubato il sonno e i pensieri,riduncendo a brandelli ogni sua facoltà mentale. Era impegnato a parlare al telefono e ogni suo gesto, il modo in cui si muoveva o gesticolava, metteva in luce il suo essere così sicuro di se.

Quel suo modo di essere,che prima detestava, aveva finito per diventare il dettaglio di lui che più l'affascinava. E poi guardarlo, le portava alla mente le notti trascorse insieme. Da quando,tra loro due, era iniziata quella cosa a cui lei non sapeva dare un nome, non aveva più passato una notte da sola o in compagnia di Vittoria.

‹‹Sei patetica.››
Si girò di scatto e sobbalzò per lo spavento. Non si era accorta di Simone che se ne stava appoggiato al tronco di un albero con una sigaretta tra le dita. Il ciuffo spettinato gli ricadeva sulla fronte, indossava una canotta larga che lasciava trasparire il suo corpo allenato e tatuato.
‹‹Te ne stai qui a sbavare su di lui. Sei davvero disgustosa.››

Socchiuse gli occhi e portò avanti la strategia che si era imposta: ignorarlo. Prima o poi si sarebbe stancato e l'avrebbe lasciata in pace, almeno sperava.

‹‹Anzi sai che ti dico›› sospirò ‹‹vorrei tanto che tu sbavassi sul mio cazzo mentre te lo infilo in bocca.››
Arricciò il naso al pensiero di quella scena orribile. Non capiva perchè Simone si fosse incaponito con lei e soprattutto perchè aveva il bisogno impellente di gettarle addosso tutta quella merda quando erano soli.

Continuò ad ignorarlo e lui di tutta risposta le gettò il mozzicone della sigaretta addosso. Si alzò di scatto dal divanetto di vimini quando il tizzone ardente le colpì la coscia.
‹‹Sei impazzito?››Un urlo furioso le uscì dalle labbra.
‹‹Potevi bruciarmi brutto coglione.›› Si ripulì la coscia dalla cenere e si voltò di spalle pronta a rientrare alla villa. Avrebbe aspettato le sue amiche chiusa in camera sua, al sicuro e lontano da lui.

‹‹Tieni a mente queste parole›› sibilò lui facendola arrestare sul posto ‹‹ O mia o di nessun altro.››

Un fremito di terrore le riempì la pelle di brividi e una rabbia cieca prese a scorrerle nelle vene.

‹‹Preferirei morire che stare con te.››
‹‹Attenta a ciò che desideri, potrebbe avverarsi.›› Le rispose passandole accanto colpendola volutamente con una spallata. 

Sospirò affranta. Si passò una mano sul viso esausta di quelle continue vessazioni. Si girò per ritornare a sedersi e fu in quel momento che i suoi occhi si scontrarono con un paio di occhi scuri che la guardavano torvi.

Avrebbe dovuto dirglielo, avrebbe dovuto liberarsi di quel fardello eppure le parole di Imma tornarono a far capolino nella sua mente. Era certa che Michele non avrebbe creduto ad una sola delle sue confessioni.

Alzò una mano per salutarlo, ma lui le diede le spalle ignorandola. Uno sbuffo esausto le uscì dalla bocca mentre si lasciava cadere sul divanetto. Michele era un vero enigma e lei non sapeva mai come comportarsi. 

Era un alternarsi di momenti: un giorno in paradiso e l'altro all'inferno.

***

Il suono incessante di un clacson riempì il silenzo della villa e un ampio sorriso le incurvò le labbra. Le batteva il cuore per la felicitá, scattò in piedi e corse in direzione del viale alberato. Erano arrivate le sue amiche e lei si sarebbe goduta ogni istante con loro accantonando il pensiero della partenza.

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