39. Elena

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Il SUV procedeva a passo d'uomo per i vicoletti sgangherati del rione Sanità. Un ultimo sguardo a quella che era stata casa sua, prima di imbarcarsi su un jet privato e raggiungere una nuova città.

Non aveva mai immaginato la sua vita lontana da quel posto, lontana dalla sua amata Napoli.Una sensazione strana le invase il petto quando imboccarono la stradina che portava a casa sua.

Si schiacciò con la schiena contro al sedile in pelle quando riconobbe la figura di suo padre. Era di spalle e accanto a lui c'era quella donna. Entrambi avevano le mani occupate dai sacchetti della spesa mentre lei cercava qualcosa in borsa.

<Fermati.>
Michele si voltò a guardarla indeciso, ma poi fece come aveva chiesto. Accostò il SUV al lato della strada.
Prese un bel respiro ed uscì da quel luogo fresco e confortevole. Il caldo che faceva quel pomeriggio era insopportabile, associò all'afa il sudore che le imperlava le mani e non all'ansia che le logorava il petto.

Camminò con lentezza, infondendosi ad ogni passo del coraggio necessario per affrontarlo. Stava ripercorrendo con la mente tutto ciò che quell'uomo le aveva fatto prima di venderla come merce di scambio.
Si era sbarazzato di lei come si fa con un oggetto usato.

<Papà...>
Si girò verso di lei, sgranò gli occhi e aprì la bocca per lo stupore di ritrovarsela davanti.
<Lenuc...> non ebbe modo di finire la frase perchè Elena lo colpì in pieno viso con il palmo aperto della mano, facendo appello a tutta la sua forza.
<Brutta stro...> suo padre alzò la mano e zittì la donna al suo fianco.

Si guardarono a lungo negli occhi. In quelli di Elena scorrevano rabbia, risentimento e appagamento per il gesto appena compiuto. In quelli di suo padre invece c'era un buco nero di rimorso e vergogna.

Strinse le mani in due pugni lungo i fianchi e si voltò ritornando a passo spedito verso il SUV.
Sprofondò sul sedile in pelle puntando lo sguardo in direzione della strada che riprese a scorrere lenta sotto ai suoi occhi. Non disse una parola e Michele fece altrettano, le appoggiò una mano sulla coscia e una sensazione di pace spazzò via dal petto ogni briciolo di pentimento.

Lui era dalla sua parte.

~~

Il cuore le tremava ad ogni gradino che saliva, spingendo come un forsennato contro la sua cassa toracica. Strinse con forza il corrimano della scaletta in ferro, aveva bisogno di un appiglio, di un qualcosa che la sostenesse, qualcosa da stringere e su cui riversare tutta la sua tensione.

Non aveva mai volato prima d'ora, l'idea di dover stare per due ore rinchiusa in una scatoletta e sospesa in aria la terrorizzava.

Se la stava facendo addosso per la paura.

L'impeccabile hostess dall'aspetto di una modella, che l'attendeva con un sorriso smagliante al lato del portellone, la fece sentire a disagio. Immaginava la sua faccia rossa e sudata per il panico, di certo non doveva essere un bello spettacolo.

Raddrizzò la schiena e si impose di sembrare il più normale possibile. Salutò la ragazza che con gentilezza la guidò all'interno. Si guardò attorno meravigliata, quel posto era enorme visto dall'interno: quattro poltrone occupavano la sala spaziosa, ognuna posta accanto ad un finestrino.

Si sedette su una di quelle e si sbottonò la camicetta agitando le mani in aria per ventilarsi. Era spaziosa si, ma tra poco sarebbe diventata una vera e propria trappola.

Le mancava l'aria al pensiero.

Si girò verso il finestrino, erano ancora fermi eppure tremò alla vista della pista.

Doveva calmarsi, ma come?

<Lena?> Era così assorta nelle sue paure da non essersi accorta che anche lui fosse salito a bordo.
Lena? L'aveva chiamata come erano solite chiamarla tutte le persone che le volevano bene.
Sorrise di rimando.

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