Capitolo 7 ‹‹ Due settimane››

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Passarono esattamente due settimane da quando vidi Gunhak.

Due settimane in cui raggiunsi livelli di stress mai provati prima. Dovetti portare nuovamente mia figlia al bar dove lavoravano perché il mio capo mi aveva aumentato i giorni di lavoro per coprire i turni della mia collega a casa con l'influenza. Quindi mi ritrovai la prima settimana a lavorare nel weekend e la seconda i primi quattro giorni.

Nonostante avessi il permesso del mio capo a portare mia figlia con me e ad Ariel piacesse passare il tempo lì a fare i compiti o a disegnare, io preferivo sempre portarla al parco giochi o al centro commerciale per farla svagare un po' invece che farla stare seduta ad un tavolo ad aspettare che la sua mamma finisse di lavorare.

Anche lì cercavo, comunque, di farle compagnia ogni volta che non vi erano clienti da servire e ogni volta mi scusavo con lei per non poterle dare molte attenzioni.

Ma lei, invece che farmi pesare tutto questo, mi sorrideva dicendomi che sapeva che io facevo tutto questo per poterle comprare i suoi giochi preferiti e per darle un pasto caldo una volta a calda e ogni volta io dovevo ricorrere al mio, ormai allenatissimo, autocontrollo per non scoppiare in lacrime davanti a lei, davanti alla sua innocenza, perché lei era una bambina così innocente ma che riusciva già a capire i sacrifici che la sua mamma faceva solo ed esclusivamente per lei.

Perché per me esisteva solo lei, così piccola eppure così sveglia e cosciente su alcuni aspetti del mondo dei grandi.

Lavoro a parte, anche l'università iniziò a farmi salire la pressione sanguigna.

Una mattina guardai l'e-mail della sede universitaria e ne lessi una che riguardava l'esame che avrei dovuto dare da lì a pochi giorni.

Lessi che, per motivi legati al docente, l'esame non si sarebbe più tenuto il giorno stabilito ma due settimane dopo e di venerdì.

Bella merda, perché la mattina non solo dovevo portare mia figlia a scuola ma quel giorno lavoravo pure.

Di fronte a questa "meravigliosa" notizia dovetti cancellare la mia iscrizione all'esame rimandandolo alla sessione invernale.

Per fortuna che una volta a casa ci pensava Ariel a farmi rilassare giocando alla dottoressa e alla paziente. Mi faceva distendere sul divano e poi, indossato il suo camice bianco e presa la sua valigetta da lavoro, iniziava a visitarmi tastandomi la fronte con la sua manina calda, dandomi le medicine per la presunta febbre che mi era venuta e infine mi massaggiava la fronte con i suoi piccoli pollici così da alleviare il mal di testa che mi sarebbe venuto per via della febbre.

E appena finiva le sue cure io mi sentivo rinata, come se le sue manine emanassero una magia rara in grado di guarire le persone con un solo tocco.

Altre volte invece ero così stanca che crollavo in un sonno profondo mentre la mia piccola dottoressa mi curava, allora lei mi dava un bacino sulla fronte, come facevo io con lei quando la mettevo a dormire, andava in camera mia e tornava da me con una coperta con la quale mi copriva.

Poi prendeva il mio telefono e lo metteva in carica poggiandolo sul tavolino di vetro che avvicinava al divano così per prevenire una mia possibile caduta.

Infine metteva via le sue cose e andava a dormire.

Stamattina mi svegliai come sempre alle sette, preparai la colazione ad Ariel, la svegliai e mi vestì. Ma nonostante il bel tempo, stamattina dovetti prendere la macchina per portare mia figlia a scuola visto che poi avrei dovuto iniziare il turno al bar.

Parcheggiai la macchina, dopodiché scesi facendo il giro della macchina e feci scendere mia figlia che si trascinava dietro il suo amato zaino.

Aspettai come sempre che entrasse a scuola, poi tornai alla macchina mettendola in moto e dirigendomi verso il posto di lavoro.

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