Capitolo 77 ‹‹ Spezzata ››

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Skylar pov

Da quel maledetto fatidico giorno in cui il mio cuore venne ridotto in polvere ed io divenni nient'altro che l'ombra di me stessa, passarono tre giorni. Tre maledetti giorni che passai rinchiusa in casa, in camera di mia figlia dove il suo profumo era ancora talmente forte e presente da essere percepito ogni volta che si varcava la soglia. Quel piccolo locale era l'unico luogo in cui era rimasta impressa tutta la sua vivacità, era così pregno di lei che era facilissimo poterla vedere saltellare a destra e manca, aprire il suo armadio per scegliere quale abbinamento indossare, e poi ancora prendere tutti i suoi amici pelosi, disporli a cerchio sul tappetino che la separava dalla freddezza del pavimento e rifugiarsi esattamente al centro intrattenendo conversazioni piuttosto animate e talvolta anche interessanti con essi, spostare la sedia dalla scrivania per sedercisi sopra, dedicandosi alla decorazione del suo album dei ricordi.

Il suo album pensai mentre con una rapidità che non credevo di possedere, non nelle condizioni in cui vigevo almeno, mi alzai e guardai nei posti in cui era solita lasciare le sue cose; la scrivania era vuota, lo zaino di scuola non era a casa, in quanto lei a casa non ci aveva mai più messo piede da tre giorni ormai, ma lo zainetto che si portava sempre dietro quando andavamo da qualche parte sì, così aprì l'anta destra dell'armadio incontrando nell'immediato le sfumature rosa confetto in completo contrasto con quelle fucsia che caratterizzavano quello zainetto, il preferito di Ariel. Lo afferrai, richiusi l'armadio e tornai a sedermi su quella morbidezza che era il materasso del letto di mia figlia che non avrebbe più accolto per un po' il corpicino esile sotto al cui peso si era modellato assumendone forma e sembianze.

Incrociai le gambe e aprì quell'accessorio estraendone il suo contenuto: alcuni astucci contenti sicuramente delle matite colorate e dei pennarelli e il suo album, quella rilegatura di pagine creata dalle mani abili di Seoho come metodo per tenere occupata e intrattenere la piccola ospite che gli girava per casa.

Sorrisi al ricordo di quando, una piccola Ariel con faccia, mani e magliettina impiastricciate di colori, colla e brillantini, mi venne incontro trascinandomi letteralmente nella camera del moro per farmi vedere il loro duro lavoro di quel pomeriggio.

Con la stessa malinconia che ricolmava quella leggera curva che aveva preso la mia bocca, aprì quella rilegatura di pagine sentendo subito le guance diventare umide; era più forte di me, vedere quelle pagine colorate dalle mani di una bambina che era sempre con me pensando che ora lei non c'era più... faceva male.

Sfogliai quell'album chiudendo ogni volta gli occhi, così che il ricordo del momento in cui essa veniva sporcata di colore fosse più vivido che mai nella mia testa. Voltai la quarta o quinta pagina ritrovandomi davanti agli occhi la pagina in cui ci misi anche il mio zampino; voleva che le facessi una di quelle scritte tipo graffiti e siccome lei non riusciva a farle chiese aiuto a me. Fu una serata meravigliosa all'insegna delle risate mie e dei borbottii gelosi di lei che, nonostante le dicessi che con un po' di manualità sarebbe riuscita anche lei a fare scritte simili e che magari sarebbero state ancora più belle delle mie vista la sua spiccata fantasia, continuava a tenere il broncio perché << Tu sarai sempre più brava di me>> me lo ripeteva in continuazione e io non smettevo mai di ridere; più ridevo, più lei si irritava ma era più forte di me. Allora proposi di rendere quel graffito ancora più unico nel suo genere, metà l'avrei colorata io, l'altra metà lei con una sola regola: sbirciare il lavoro dell'altro era severamente proibito. Il risultato ora lo tenevo stretto tra le mani, la prima metà con i contorni ben definiti che sfumava man mano che si procedeva verso l'interno, la seconda metà colorata in modo leggero marcando abilmente i contorni.

Continuai a sfogliare quelle pagine piene di ricordi fin quando l'ennesimo foglio dipinto mi si palesò davanti agli occhi e insieme ad esso anche l'ultima immagine che avevo del ragazzo ritratto in quella polaroid insieme al visino sorridente di mia figlia; quella era la prima pagina di quella sezione che la mia piccola artista aveva intitolato "Famiglia", la sua famiglia, e non avrei mai pensato che rivedere quelle immagini avrebbero suscitato in me più dolore che gioia.

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