Capitolo 94 ‹‹ Il gruppo si allarga ››

23 3 72
                                    

Debra pov

Serena e felice.

Serenità e felicità; erano le emozioni che da due settimane si fecero largo nella mia anima, rendendo la mia vita ancora più colorata, perfetta e completa di quanto era diventata nell'esatto istante in cui una certa persona aveva deciso di sedersi nel banco accanto al mio, allungando la sua mano nella mia direzione attendendo che venisse stretta della mia.

Palmi che si toccarono, dita che si strinsero.

Un nome; Ariel. Un'amica.

Una grande amica, una di quelle che si spera sempre di trovare, una di quelle con cui si crea quel legame solido e particolare che porta due individui a comprendersi anche solamente grazie un messaggio sul telefono; un legame indissolubile, complice.

Un'amica, una compagna di vita che mi ha seguito in tutta la mia crescita stando sempre al mio fianco, sia nei momenti belli sia in quelli brutti; soprattutto questi ultimi.

Il ricordo di quel pomeriggio di dieci anni fa, il primo Natale che passai diversamente ma anche quello che mi arrecò più dolore, è sempre rimasto impresso nella trama contorta dei miei pensieri; vivido, come se fosse accaduto da poco e non anni fa.

Vivido come la fitta al cuore che provai quando quella ragazza, ai miei occhi una semplice sconosciuta, si palesò davanti ai nostri occhi con quell'aria superiore mentre io stringevo fortemente la mano di mia mamma nascondendomi piano piano dietro la sua figura restringendomi nelle spalle.

<<Avrà scambiato mio zio con un altro>> era ciò che continuavo a dirmi. Ero una bambina, avevo solamente sei anni e tutto quello che sapevo riguardo alla mia famiglia era che la mia mamma e il mio papà, per motivi che per me erano troppo difficili da comprendere, non avevano potuto stare insieme; io non avevo mai più chiesto di lui, avendo capito che fosse un argomento ancora fresco per mia mamma, fonte di molte sofferenze e nottate passate raggomitolata sul divano a versare lacrime per una persona della quale non sapeva più nulla quando pensava che io stessi dormendo tranquillamente nel mio letto; la verità era che io molte volte mi svegliavo nel cuore della notte senza un reale motivo e vedendo la luce del salotto accesa mi alzavo, aprivo la porta della mia cameretta cercando di fare il meno rumore possibile, mi incamminavo per il corridoio e quando arrivavo sempre più vicino a quel locale ancora illuminato, piccoli singhiozzi strozzati e ovattati giunsero alle mie orecchie interrompendo i miei passi. Poggiai entrambe le mani sullo stipite dell'ingresso sporgendo solamente con il capo e subito l'inquietudine divenne padrona di me stessa; vedere qualcuno piangere non è mai bello, ma quando è un genitore è peggio. Ci si sente stretti dall'interno del proprio corpo come stretti tra le lame di una tenaglia che piano piano aumenta la sua presa su di noi, il cuore sussulta, tutta la nostra figura si ferma, pietrificata. Vorremmo agire, dire qualcosa, ma allo stesso tempo non sappiamo né che fare, né che dire; vorremmo fare talmente tante di quelle cose per fare star bene l'altra persona, ma temiamo la reazione che essa può avere: potrebbe accettare un abbraccio o una spalla su cui piangere oppure rifiutarlo, scansarsi e lasciandoci con il pensiero fisso che forse, se avessimo saputo stare al nostro posto, quell'immagine non ci avrebbe mai perseguitato per il resto delle nostre vite.

Quella sera io vidi per la prima volta mia madre piangere, da sola, senza nessuno al suo fianco che le allungasse una mano su una spalla o sulla schiena, senza qualcuno che fosse disposto ad ascoltare le sue parole, senza darle la possibilità di potersi sfogare, sputando fuori dal suo corpo tutto quel dolore che probabilmente non sarebbe mai svanito nel nulla, ma almeno per una sera avrebbe potuto sentirsi più leggera. Solo che non c'era nessuno insieme a lei all'infuori di me, una bambina di soli sei anni che in quel momento doveva essere tra le coperte del proprio letto a dormire sonni profondi invece che starsene lì in piedi a vedere la propria madre in uno dei momenti di fragilità che aveva sempre tenuto nascosti ai miei occhi indossando una maschera di finzione, fingere che tutto andasse bene era ormai diventata un'abitudine.

•Incomplete•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora