Capitolo 50 ‹‹ Appa ››

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Youngjo pov
Erano appena le sei del mattino quando la sveglia decise di risvegliarmi dal mondo magico e fantasioso che era il mio subconscio, il quale non esitava a impressionarmi, ogni volta che il cielo si oscurasse, con i suoi scenari vero simili e tremendamente reali da sembrare di viverli in prima persona, quando in realtà la mia figura era adagiata sopra il comodo materasso del mio letto, coperta dalle lenzuola sfatte per via dei movimenti compiuti durante la notte.

Non era la prima volta che mi capitava di fare sogni a dir poco bizzarri, che non centravano nulla con la realtà perché a dir poco fantasiosi con creature mitologiche e paesaggi visibili solo nei film di fantascienza, ma ultimamente il mio subconscio pareva divertirsi a confondermi sempre di più, notte dopo notte.

Infatti era da ormai una settimana che ogni sera, non appena i miei occhi si chiudevano, rivivevo sempre lo stesso sogno al quale però non riuscivo a dare un senso.

Tutto attorno a me era avvolto dall'oscurità più profonda, non uno spiraglio di luce ad illuminare l'ambiente che mi circondava, non un ombra e delineare i contorni di mobili, attrazioni ludopatiche per bambini, mezzi in movimento, non un rumore ad indicare la presenza di altri essere umani oltre a me.

Vigeva un silenzio tombale in quella realtà tinta di un profondo nero omogeneo. L'unico rumore era alimentato dalle suole delle mie scarpe che, come un'eco rimbombava in quello spazio vuoto a ogni mio passo.

Mi guardavo continuamente in giro nel tentativo di riconoscere qualche tipo di sagoma a me nota, guardavo lo spazio vuoto davanti a me stringendo gli occhi in due piccole fessure per scorgere altri tipi di presenze ma niente, ero perso nel vuoto più totale e solo, completamente solo.

Poi improvvisamente, come se qualcuno avesse impartito un ordine, il nero nel quale sono immerso inizia a schiarirsi perdendo la sua omogeneità. Lentamente e con una certa gradualità, esso si tinge di una sfumatura tendente al grigio fumo schiarendosi sempre di più passando da un grigio più tenue ad un bianco puro la cui lucentezza era talmente accecante da costringermi a coprirmi gli occhi con una mano.

Quando quel bagliore di luce candida perse la sua intensità rimossi la mano dal viso non ero più circondato da oscurità e vuoto più totale, ora al posto della tinta color carbone vi era un parco, al posto della profondità infinità del nulla vi era un luogo fisico e reale, abitato da persone in carne e ossa, nel quale riuscivo a distinguere chiaramente i vari negozi, le numerose abitazioni che mi circondavano, le macchine che sfrecciavano lungo le strade trafficate della metropoli italiana insieme ai suoni fracassanti dei clacson e alle luci rosse dei fanali posteriori, le persone passeggiare sui marciapiedi, attraversare le strade. Uomini, donne, bambini, giovani, anziani non c'erano distinzioni. Persone normali che decisero di spendere una giornata all'aria fresca.

Riuscivo distinguere chiaramente i bambini giocare sugli scivoli dei colori più sgargianti, dondolarsi sulle altalene spinti dai propri genitori, nascondersi da qualche parte mentre gli amichetti ispezionano ogni centimetro quadrato di quello spazio verde alla ricerca dell'amico mimetizzato con l'ambiente.

Proprio quando mi decisi a fare il primo passo in direzione di quel parco così vivo e animato dagli schiamazzi dei bambini, tutto intorno a me si fece sfocato, la testa iniziò a girarmi e un senso di vertigini mi colpì facendomi traballare sul posto. Ero fermo eppure sembrava che mi stessi muovendo senza il mio volere, come se il mio cervello si fosse distaccato dal mio corpo lasciando il posto a quello di un'altra entità a me ignota.

Le vertigini si fecero più persistenti, il parco, le macchine, i negozi, i palazzi, le persone divennero delle figure informi, tutto intorno a me prese a girare, come avvolto da un vortice di vento ciò che mi circondava assunse sembianze di tante piccole striature amalgamate in qualcosa di informe.

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