CAPITOLO 27

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Capitolo 27

Charles pov

Sei il mio treno per l'inferno.

Imbucarci a una festa universitaria non è una mossa intelligente. Gira droga e poi alcol, alcol a fiumi, ma a noi studenti dell'ultimo anno piace rischiare. A me, specialmente, visto che sono qui per piazzare un po' d'erba.

Ho ricominciato, ma non lo faccio a scuola.

È troppo pericoloso e se mi beccassero potrei dire addio ai miei progetti col kart, così cerco di mantenere un profilo basso.

Con i ragazzi dell'università ottengo soldi facili e l'accesso alle loro feste da
sballo.

Questa, nello specifico, è quella della confraternita di non so che cosa. Non
che me ne freghi niente, a dire il vero, mi ha invitato Latifi, uno che con le droghe ci va giù pesante. Io non vendo quella merda. Mi chiama solo quando vuole farsi qualche tiro di marijuana, il che significa due o tre volte alla settimana.

Lando è venuto con me. Volevo tanto tenerlo fuori dai miei casini, ma questo zuccone è troppo furbo per nascondergli la cosa, così ha capito.

«Che diamine, Char, spacci?»

A quel punto gli ho raccontato ogni cosa: di Andrea, del mio progetto di portarlo via con me, della mia intenzione di chiedere un prestito universitario e ottenere una borsa di studio alla UCLA per sfondare nei motori.

Ha storto il naso tutto il tempo, mi ha fatto una lavata di capo degna di una madre ansiosa, ma adesso mi segue e mi guarda le spalle come l'amico fantastico che è.

Mi guardo intorno. La stanza è pienissima.

C'è gente ovunque e non mi stupisce incontrare qualche mio compagno di
squadra. L'università si fa vicina per noi che siamo prossimi al diploma e non vediamo l'ora di sperimentare cosa si provi a essere adulti.

«Ehi, Leclerc!» Latifi mi si accosta e mi dà una pacca sulla spalla. «Hai qualcosa per me?»

«Certo.»

Noto che Lando è nervoso, i suoi occhi vagano inquieti, ma nessuno ci sta
prestando attenzione, sono tutti strafatti e non solo di alcol.

Gli passo discretamente una bustina e lui mi mette in mano i soldi.

«Spero sia buona come l'altra volta» mi sorride storto. Il suo alito sa di birra e
tequila. Si regge a malapena in piedi.

«Puoi contarci, amico.» Mi allontano subito da lui, trascinando Lando con me.

«Vieni. Ho ancora qualche consegna da fare, poi potremo divertirci.»

«Che accidenti mi fai fare?» mi apostrofa.

«Non ti ho chiesto niente.»

«Già. Tu non chiedi mai nulla, vero? Come con le corse.»

Faccio una smorfia e stringo i pugni. In realtà, so che gli sto chiedendo tanto,
perché se è vero che non gli ho domandato direttamente aiuto, sapevo che nel momento stesso in cui gli avrei confidato tutto, Lando non mi avrebbe voltato le spalle. Non l'ha fatto neanche quando sono andato alla Fabbrica. Ci contavo, e adesso sono ingiusto e stronzo come al solito.

«Andiamo?» gli domando, distogliendo lo sguardo.

È il mio modo per chiedere scusa. Uno strano modo, lo so. Ma ormai lui mi
conosce.

Sbuffa: «Andiamo, coglione!».

Sorrido scuotendo il capo, proprio come quel giorno in cui mi ha spiazzato tenendomi testa.

Tutto il tempo del mondo con te; Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora