CAPITOLO 63

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Capitolo 63

Charles pov

Non sei più veleno. Sei l'antidoto.

"Non me ne frega niente di cosa stavi cercando di fare." Lui si piazza di
fronte ad Andrea, poi lo prende per il colletto della maglietta e lo strattona. "Sei un impiastro. Che ti diceva la testa? Non si gioca con i miei attrezzi e adesso avrai quello che ti meriti."

Mi fermo sul primo gradino che porta a quel maledetto garage, e quando sento il rumore del primo schiaffo sulla pelle di Andre li salto a due a due.

"Fermo" urlo. "Non è stato lui" confesso, anche se non è vero. Il mostro si gira, tiene ancora Andrea per il colletto e stringo gli occhi quando vedo il sangue che gli cola dal naso. Non è giusto. Niente di quello che stiamo vivendo è giusto.

"Quindi sei stato tu" ringhia, e nei suoi occhi spiritati, oltre alla collera, brilla qualcos'altro. Qualcosa che mi mette i brividi.

Non ho paura, provo solo disgusto.

Mentre lascia andare Andrea e si dirige verso di me resto fermo. In attesa.

Osservo il suo ventre prominente, la camicia di jeans logora e imbrattata d'erba, le sue scarpe sporche di terra.

"Che volevi farci con la mia motosega, eh?"

Serro gli occhi e i pugni. Mi sta davanti e il mio viso arriva alla sua pancia flaccida. "Volevo vedere se riuscivo ad accenderla" mento.

In realtà, Andrea mi aveva confessato che voleva capire come usarla per ucciderlo. Sì, con una motosega, cazzo.

Come se fosse facile!

"Per far che?" continua il mostro.

"Non lo so." Adesso tremo un po'.

"Volevo vedere se ero così forte da
tenerla in mano" e i suoi occhi si accendono.

Incrocio lo sguardo impaurito di Andrea. Scuote il capo, è pronto a dire
che sto mentendo per proteggerlo, ma con un cenno impercettibile della testa gli intimo di non farlo.

"Sali in camera tua, Andrea." La voce del mostro suona perentoria. Ma lui resta, ostinato, mentre una lacrima gli solca la guancia.

"Ho detto fuori dai piedi e chiudi a chiave la porta, una volta sopra!"
urla il mostro.

"Mi dispiace" farfuglia Andrea con voce tremante. Mi asciugo gli occhi perché li sento umidi, ma non sto piangendo. Io non piango, cazzo. Non posso mostrarmi debole.

"Non lo farò più" tento di guadagnarmi la sua compassione, ma quando sento il rumore della porta che si chiude alle spalle di Andrea capisco che per me non ci sarà alcuna assoluzione.

"Sei stato un bambino cattivo, Charles. E lo sai cosa succede ai bimbi cattivi "

"No" mormoro. Sto tremando. "È stato un gesto stupido. Non lo farò più" ripeto.

"E credi che me la beva?" La sua voce si alza, furente di rabbia. Sento un rumore improvviso, proviene da me?

Poi il dolore lancinante allo zigomo. Sì, proviene decisamente da me. Ma non si ferma solo a questo.

Ci va giù pesante. È estate, non c'è scuola e la visita degli assistenti sociali è fissata tra un mese. Il mostro sembra posseduto. Mi centra ancora in piena faccia e avverto il sapore del sangue, poi mi colpisce ancora e ancora, e per ogni colpo sento uno scricchiolio come di ossa rotte. "Sai che fine fanno i bugiardi?" ringhia.

"Non ho mentito" cerco ancora di proteggere Andre come posso.

"Sì che lo hai fatto. Ma ti farai perdonare. Non è vero, ragazzino?"

La paura che mi chiuda in garage e che le botte si trasformino in qualcos'altro mi striscia addosso, paralizzandomi.

Non paro più i colpi.

Non servirebbe a niente. Il suo intento adesso è di lasciarmi ferite ben più profonde.

«Charles »

Sofia. La sua voce. Che ci fa lei qui? No! Non posso proteggere anche lei.

«Char, amore.»

«Cazzo, va' via, scappa!» urlo, ma lei mi chiama ancora, più vicina, troppo vicina al mostro.

«Char, svegliati, ti prego!»

Spalanco gli occhi e la prima cosa che vedo è il suo volto. Sto ansimando, sono sudato, il cuore sembra volermi schizzare fuori dal petto. È stato un incubo.

Come ne ho spesso negli ultimi tempi.

«Sofia?»

«Sì, tesoro. Sono qui. È stato terribile. Non riuscivo a tirarti fuori da lì» mi dice, ha le guance bagnate e comincio ad avere paura di quello che può aver visto. «Cos'hai sognato?» mormora passandomi la mano fra i capelli madidi.

«Nulla» rispondo, e maledico il tremore della mia voce. «Non me lo ricordo neanche. Ho bisogno di un bicchiere d'acqua.» Mi tolgo di dosso le lenzuola e fuggo in cucina.

Respiro e inspiro affannosamente, con le mani serrate intorno al lavello, finché non sento due braccia avvolgermi da dietro. Il respiro di
Sofia sulla mia schiena nuda, il piccolo bacio che mi deposita fra le scapole, le mani sul mio ventre. Gliele afferro, poi mi volto e la stringo a me. «Sto bene» sussurro, e inalo a fondo il dolce odore di miele dei suoi capelli.

Mi calmo. Adesso sì, ci riesco.

«Torniamo a letto» la prego. La sua espressione è ancora preoccupata,
ma non insiste per parlarne. Sono provato dalle immagini orrende che ho
rivissuto, e deve vedersi, perché Sofia mi guida in camera e mi fa distendere, poi si sdraia accanto a me senza aggiungere una parola.

Mi accarezza. Prima i capelli, poi le sopracciglia, la linea leggermente
storta del naso, le labbra. Poi torna su, si concentra sulle mie palpebre e mi invita a chiuderle. La sensazione di pace che mi dona e che mi percorre il corpo fino a insinuarsi dentro è una cura.

«Non sei più veleno, Honey. Sei l'antidoto» sussurro piano, la mente è
già preda di Morfeo.

La mia anima si fa leggera, il respiro più pesante. Sento la sua voce, prima di crollare in un sonno meno agitato.

«Dormi, amore mio. Stavolta ci penso io a scacciare i tuoi mostri.»

Tutto il tempo del mondo con te; Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora