CAPITOLO 68

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Charles pov

Il dolore fa più male se resta in silenzio.

Inizio flashback

La prima settimana in casa Spector non ho capito con chi avevo a che fare; non l'ho compreso nemmeno la seconda, quando lui ha infilato la mano sotto le mie lenzuola e mi ha toccato.

Allora ho finto di dormire.

La sua è stata solo una carezza e, per quanto la cosa mi sembrasse sbagliata, ho lasciato stare e ho evitato di parlarne con l'assistente sociale che monitorava l'affido.

Poi le cose sono precipitate in fretta.

Quando s'intrufola dentro la camera in cui dormiamo io e Andrea, puzza di alcol più del solito e avverto subito la sua presenza.

«Non stai dormendo, Charles. Lo so che mi aspetti, piccolo.»

Scosta le coperte dal mio corpo e mi sforzo di restare immobile. È
un'impresa cercare di controllare il respiro, finisco per trattenerlo e i
polmoni cominciano a bruciare implorando sollievo. Intanto prego.

Prego che se ne vada via e che mi lasci stare.

Li sento, i suoi passi sulla moquette, sulla morbida e linda moquette che sua moglie tiene pulita in modo maniacale, e so perfettamente verso chi si sta dirigendo.

Si avvicina al letto di Andre. Sa che lo fermerò e che mi arrenderò alle sue perversioni purché lo lasci in pace.

Scatto in piedi, ansimando e stringendo i pugni e gli occhi, mettendo a tacere ogni emozione dentro di me.

Non voglio piangere.

Non avrà anche le mie lacrime.

La prima volta ho pensato che potessero bastare a fermarlo, ma più piangevo, più l'orco godeva e da quel momento non ne ho più versata una. «Bravo bambino!» lo sento sussurrare.

È tutto così sbagliato qui dentro.

Le pareti blu, con le nuvole bianche dipinte; la lampada sul mio comodino che proietta sul soffitto tante minuscole stelle.

La camera è in ordine, ma c'è un mostro davanti a me che mi fa cenno con la testa di seguirlo in un incubo.

Lui mi consumerà. Lo ha già fatto.

Ogni giovedì.

Ho cominciato a temere questo giorno più degli altri giorni.

È il momento in cui si prende un pezzo di me, mentre spero che finisca presto. Mentre prego un Dio che non esiste affinché afferri un'altra parte - forse l'ultima - della mia umanità fino a non lasciarmi più niente.

Purché faccia meno male.

Purché il suo volto smetta di perseguitarmi anche nel sonno.

Scende le scale per primo. Mi limito a fissare i miei piedi scalzi trascinarsi sui gradini di legno come se non mi appartenessero, e per una frazione di secondo sogno che sia davvero così.

Non sono io questo ragazzino. Non c'è più Charles perché lui è morto. Il mostro lo ha divorato.

Tira una cordicella e il garage s'illumina. La luce è fioca, dal soffitto pende un'unica lampadina. Il suo pick-up rosso è parcheggiato dentro,
nell'aria si sente ancora l'odore del gas di scarico. Allungo una mano verso il cofano: è caldo. Il mostro dev'essere appena rientrato.

Tutto il tempo del mondo con te; Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora