3.

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«Daryl?»

Jon abbassò lo sguardo per osservare la ragazza che teneva tra le braccia, stretta al suo petto come se da questo dipendesse la sua vita. «Mmm?»

«Mi... mi fa male la testa.»

«È normale, sta' tranquilla. È solo colpa dell'alcol. Domani mattina sarà tutto passato. »

Lei prese un respiro più profondo degli altri e il suo petto sobbalzò in un singhiozzo violento. «No...» si lamentò ancora. «Non è l'alcol. Sono stata ubriaca, prima di oggi... è diverso stavolta. Qualcosa non va.»

Jon si fermò. «Tipo?»

«Non lo so... brucia.»

«Dove?»

«Qui.» Con dita tremanti, si indicò un punto dietro la nuca.

«Aspetta.»

Jon si guardò intorno e notò una panchina poco distante. Ce la adagiò sopra, ma quando fece per allontanarsi, lei gli strinse le mani sugli avambracci e gli rivolse uno sguardo disperato, che gli strinse il cuore.

«Tranquilla, non vado da nessuna parte. Voglio solo dare un'occhiata... posso?»

Lei annuì e le sue dita scivolarono via, lasciandolo libero di fare il giro della panchina e sollevarle i capelli. Non gli ci volle molto a individuare quale fosse la fonte del problema: le sue dita toccarono qualcosa di caldo e umido e lei trattenne il fiato per il dolore.

Sangue.

Esaminandola alla luce fioca del lampione sopra le loro teste, Jon notò il lungo taglio che partiva dal lato sinistro della sua nuca e si estendeva di circa cinque centimetri verso il centro. Non lo meravigliava affatto che sentisse tutto quel dolore... lo aveva provato sulla propria pelle innumerevoli volte, con tutti quei match violenti e assolutamente fuori di testa che aveva disputato nelle federazioni indipendenti di wrestling, prima di fare il grande passo e raggiungere la RWA. Il suo cranio, in un modo o nell'altro, finiva sempre per sanguinare. Sotto i capelli doveva avere un cimitero di cicatrici.

In casi come quello, a lui lo ripetevano spesso dopo i suoi match, l'importante era non addormentarsi.

Le lasciò scivolare i capelli sulla schiena e la riprese in braccio.

«Che cos'ho?»

«Niente» mentì. «Ma ho bisogno che tu resti sveglia, puoi farlo per me?»

«Ci provo... ma sono così stanca.»

Portarla in ospedale sarebbe stata la scelta più saggia, ma il suo appartamento era più vicino e lui aveva tutto il necessario per curare quel genere di ferite. Non sarà stato un dottore, ma aveva un certo bagaglio di esperienze nel ricucire un taglio. Si chiese quando se lo fosse procurato... forse quando quei tre bastardi l'aveva sbattuta contro il muro.

La rabbia tornò a impossessarsi di lui, ma riuscì a rimanere calmo e concentrato solo perché sentì il respiro di lei farsi più lento e il suo corpo rilassarsi tra le sue braccia.

«Hey? Hey, piccola lottatrice?» La scosse piano e lei riaprì gli occhi, sebbene a fatica. «Ho bisogno che resti con me, d'accordo?» La ragazza mugugnò qualcosa, ma annuì. «Parla con me» disse allora Jon.

«E di cosa?»

«Iniziamo col tuo nome, ti va?»

La vide corrugare la fronte. «Non... non me lo ricordo.»

Jon la fissò preoccupato. Come faceva a non ricordare il suo nome? Forse aveva una commozione cerebrale... o forse era solo colpa dell'alcol.

«D'accordo, allora... prima hai detto che somiglio a un certo Daryl Ashton» disse, con un'illuminazione improvvisa. «Chi sarebbe?»

Lei ridacchiò. «È vero.» Riaprì gli occhi e reclinò il capo per poterlo guardare in viso. «Tu somigli proprio a Daryl Ashton.»

«E chi è?»

«È un wrestler, combatte in una federazione chiamata RWA. Tu segui il wrestling?»

Un sorrisetto si dipinse sulle labbra di Jon. «Non proprio.»

«Lui... fa parte di un gruppo, i Dark Knights, insieme a Samuel Reed e Russell Royle.»

«E a te piacciono come wrestler?» Continuava a farle domande, così da costringerla a parlare e a rimanere sveglia.

«Sì, sono forti.»

«Dimmi di loro.»

«Uhm. Samuel Reed è... il cucciolo del gruppo.»

Jon non riuscì a trattenere la risata che gli salì alle labbra. Chissà cosa avrebbe pensato Chase (il vero nome di Samuel Reed) nel sapere che una loro fan lo considerasse un cuccioletto.

«Ha questi capelli strani, blu elettrico, sparati in tutte le direzioni.»

«E che mi dici dell'altro? Di Russell Royle?»

«Oooh... lui è, beh...» La ragazza ridacchiò come una scolaretta. «Lui è il braccio armato dei Dark Knights: quello più forte, i muscoli del gruppo. Samuel Reed è l'agilità, Russell Royle la forza.»

«Ti piace questo Russell Royle, eh?»

«Sì, è un gran fico, ma non è il mio preferito.»

«Ah no?» Una novità. «E chi sarebbe, allora?»

Lei chiuse gli occhi e tornò ad appoggiare la testa contro la sua spalla. «Daryl Ashton, no?»

Jon sorrise.

«Posso dormire, ora?» biascicò lei.

«Non ancora, ma siamo quasi arrivati: resisti.»

«Arrivati dove?»

«A casa.»

«Ma io non ce l'ho una casa...»

Jon sentì di nuovo una morsa spiacevole stringergli il cuore. «Shhh... non preoccuparti di questo. Ce l'hai, almeno per stanotte.»

Svoltò l'angolo e si ritrovò di fronte all'entrata del proprio palazzo. Si incamminò lungo il viale, estrasse le chiavi e aprì il portone, spingendolo poi con la schiena per poter entrare.

«Ho davveeeeero sonno...» sbadigliò lei.

Non poteva addormentarsi, non prima che lui avesse avuto la possibilità di esaminare meglio la ferita e medicarla. «Se prometti di restare sveglia, ti svelo un segreto.»

Lei riaprì gli occhi con uno sforzo che parve enorme. «Va bene... affare fatto» mormorò, e sbatté le palpebre per concentrarsi sul volto di lui e non cedere al sonno.

«Vedi, non è che io somiglio a Daryl Ashton. Io sono Daryl Ashton. Piacere di fare la tua conoscenza.»

La vide spalancare gli occhi e fissarlo come se gli avesse visto spuntare una seconda testa aliena sul collo. Questa volta, non riuscì a trattenersi e scoppiò in una risata liberatoria, mentre finalmente entrava in casa. «Vedo che ha funzionato» mormorò divertito.

Lei cominciò a ridere a sua volta, prima piano, poi sempre più forte, sempre più isterica. «Sei un ottimo attore, finto Daryl! Ti ho quasi creduto! Ma almeno mi hai svegliata, te ne do atto!»

Jon sogghignò e scosse la testa. «No, sono serio: sono davvero il vero Daryl Ashton. Sei una mia fan e non sai che vivo a Las Vegas?»

Lei perse ogni traccia di ilarità e il colorito già pallido del suo viso si fece ancora più smorto. «Cosa...? No, ti stai prendendo gioco di me. Tu... no, no. Tu non puoi...»

«A quanto pare: posso» ribatté lui con un ghigno.

«Oddio...» sussurrò lei imbarazzata, e le sue guance si incendiarono. «No, tu non... tu...»

Jon ridacchiò ancora e la adagiò sul divano. «Ascolta, vado a prendere delle cose per farti stare meglio, d'accordo? Tu resta qui e cerca solo di non addormentarti.»

Lei annuì, ancora in imbarazzo e sotto shock.

Mentre si allontanava verso il bagno, Jon rimuginò che forse non era stata la scelta più saggia del mondo dirle chi era, ma almeno adesso non sembrava più in procinto di addormentarsi. A volte, una scarica di adrenalina faceva molto di più di un'iniezione di efedrina.

𝐓𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐓𝐫𝐚𝐧𝐧𝐞 𝐋'𝐎𝐫𝐝𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora