Sgattaiolare fuori casa era sempre più facile. Sua madre ormai non se ne accorgeva neanche più. O forse (si ritrovava a pensare a volte con una morsa di dolore che gli scaldava il petto) non le importava più di tanto di dove fosse o cosa facesse... tutto, purché non lo avesse in mezzo ai piedi.
La strada verso casa era quieta e silenziosa. I lampioni sul ciglio del marciapiede illuminavano sporadicamente la via con la loro luce fioca, non riuscendo a dare colore a quel mondo bianco e nero. Era una notte buia, senza luna e senza stelle, eppure il cielo pareva comunque un'unica pennellata di blu, tanto erano fitte le nuvole che lo ricoprivano.
Aveva cominciato a piovere, per cui si strinse nel felpone più grande di qualche taglia e affrettò il passo, cercando di evitare le pozzanghere che si stavano annidando tra le buche sull'asfalto.
Il ricordo del pomeriggio appena trascorso gli tenne compagnia durante il suo cammino solitario, tirandogli un sorriso sognante sulle labbra. Da quando aveva scoperto che la sede principale della federazione indipendente di wrestling della zona distava solo una ventina di minuti da casa sua, ogni occasione era buona per fuggire e raggiungere la palestra: spiare gli allenamenti dei lottatori era diventato il suo nuovo passatempo preferito. Quando Trevor, il proprietario della federazione, l'aveva beccato a sbirciare, neanche un paio di mesi prima, non era nemmeno stato in grado di ammonirlo o di cacciarlo. Gli enormi occhioni blu, pieni di speranze, con cui quel bambino lo aveva guardato dal basso, lo avevano convinto a riservargli un posto d'onore a bordo ring ogni volta che lui andava a trovarli.
Era diventato la mascotte del gruppo.
Jonathan Gabriel era un bambino diverso dagli altri. Era determinato, caparbio, intraprendente... e la sua passione per il wrestling non era cosa comune. Lui non era un fan come gli altri, qualcuno che adorava semplicemente fare il tifo e sbavare dietro il Jim Curtis di turno. Lui viveva e respirava wrestling, come a pochi altri Trevor aveva visto fare. Aveva solo otto anni, eppure aveva già chiaro il suo futuro.
Lui sarebbe diventato un lottatore.
Un rumore improvviso lo costrinse a fermarsi e a sollevare il viso, alla ricerca della fonte che lo aveva causato. Sospirò sollevato quando si accorse che era solo un gatto che si era infilato in un bidone della pattumiera, probabilmente alla ricerca di una lisca di pesce da poter rosicchiare. Scosse la testa, cacciando dalla mente l'immagine che, prepotente, gli aveva attraversato la memoria. Era lieto che si fosse trattato solo di un animale e non di un paio di alti tacchi a spillo che si scontravano con l'asfalto, attirando le attenzioni di uomini ben poco raccomandabili.
Sua madre, si disse, era a casa ad aspettarlo, insieme a sua sorella.
A volte si domandava se non fosse stato tutto solo un brutto incubo. Per quanto fosse sembrato reale, forse la sua mente gli aveva giocato un tiro mancino... forse, sperava a volte così intensamente da farsi venire il capogiro, sua madre non ci era mai stata, sul ciglio della strada, con le sue calze autoreggenti e quella gonna striminzita.
Scosse la testa, riprendendo a camminare, seppur il ricordo di quella nottata continuasse a perseguitarlo a ogni passo che faceva verso casa.
Jon avrebbe voluto non sapere, avrebbe voluto non sapere un sacco cose... eppure, sapeva, e non propriamente per sua scelta. Il fatto che fosse un bambino fuori dall'ordinario, con un'intelligenza spiccata, una furbizia innata e un acume spaventoso, non sarebbe stato sufficiente a farlo crescere così in fretta, a farlo diventare così maturo nei confronti della vita. Ma non ci si sceglie il proprio destino (né la propria famiglia, se è per questo, perché altrimenti Jon ne avrebbe scelta una decisamente diversa; tranne Ashley... lei l'avrebbe portata con sé per sempre e dovunque). Con un padre assente perché in prigione e una madre sconsiderata, che passava il suo tempo tra alcol, sigarette, uomini e chissà cos'altro, come si poteva pretendere che lui rimanesse un bimbo a lungo? Aveva sempre sentito sulle spalle il peso di un ruolo che non gli apparteneva. Il peso della felicità e del benessere di Ash... e, anche se a volte faticava ad ammetterlo, anche quello di sua madre.
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𝐓𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐓𝐫𝐚𝐧𝐧𝐞 𝐋'𝐎𝐫𝐝𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐨
Romance«Nel momento stesso in cui ho deciso di entrare in quel vicolo e salvarti, sei diventata un mio problema.» Lei sentì un tuffo al cuore e deglutì. «Vieni a casa con me.» Quelle iridi blu erano così serie e intense che lei non riuscì a sostenere il su...