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Jon era in piedi, di fronte a lei. Il petto nudo, la cintura slacciata, la zip dei jeans aperta a rivelare gli attillati boxer rossi. La tenue luce dell'abat-jour sul comodino alle sue spalle proiettava un gioco di ombre sul suo fisico asciutto, disegnando i contorni perfetti dei suoi muscoli.

Perfetto.

Era decisamente quello l'unico aggettivo con il quale Lydia riusciva a descrivere Jon, in quel momento. Beh, veramente, non solo in quel momento. Lei lo trovava sempre perfetto, anche troppo. A volte si domandava cosa avesse fatto di così buono da meritarsi un uomo come lui.

La luce tenue della stanza disegnava morbide ombre sul suo torace perfetto, linee arancioni tracciavano i suoi bicipiti gonfi, le vene in rilievo sugli avambracci sodi delineavano il lavoro delle sue dita abili, intente nello sfilare la cintura dai passanti dei jeans.

Lydia, seduta sul bordo del letto, lo osservava dal basso con quella sua solita, timida devozione, che la faceva sempre apparire deliziosa ai suoi occhi lussuriosi.

«Ti fidi di me?» Un sussurro roco, che le attraversò il corpo come un brivido proibito.

Non c'era bisogno di parole per rispondere a quella domanda, le bastò semplicemente schiudere le labbra, lasciare che un piccolo sospiro tremante uscisse da esse e, senza mai smettere di fissarlo in quegli occhi così profondi e seducenti, fare un piccolo cenno d'assenso con il capo.

La bocca di Jon si aprì in un ghigno, mentre si chinava in avanti, la cintura trattenuta in una mano, l'altra che andava a sfiorarle il viso in una carezza un po' rude, con la quale le spostò alcune ciocche di ramati capelli dietro l'orecchio, al quale avvicinò le sue labbra. «Ricordami una cosa, Lydia. A chi appartieni?»

Un altro brivido confermò l'effetto che, come sempre, le faceva avere Jon tanto vicino.

«A te...» rispose, la voce poco più alta di un sussurro.

Di nuovo, Jon ghignò. «A me.» ripeté. «Esatto. Tu sei mia.» Spostò il capo solo per leccarle lentamente una guancia.

Un sospiro tremante, misto a un gemito di piacere, lasciò la gola di Lydia, facendolo ghignare soddisfatto per l'ennesima volta. Si distanziò, torreggiando su di lei, e ancora le accarezzò il viso, costringendola a seguire il suo movimento e a incontrare i suoi occhi, lucenti persino nella penombra della stanza.

«Ora faremo un gioco.»

Ancora una volta, Lydia si limitò ad annuire, rapita da lui e dalla sua totale predominanza.

Era sua... e lui poteva farne ciò che voleva. Come voleva. Quante volte voleva.

*

Le sue dita si muovevano leggere lungo il braccio nudo di Lydia. Con le lenzuola a essere l'unica cosa a coprire i loro corpi altrimenti nudi, Jon era steso supino, lei accoccolata al suo fianco, una guancia poggiata contro il suo petto caldo e l'orecchio che si premeva a sentire il battito regolare e tranquillo del suo cuore.

«Come ti senti?»

Lydia sollevò il capo per poter incontrare il suo viso, ma gli occhi di Jon rimasero puntati contro il soffitto. «Bene.» rispose, un sussurro morbido, l'accenno di un sorriso nella voce stanca. «Un po' dolorante... ma bene» ridacchiò.

Anche le labbra di Jon si distesero in un sorriso pigro e finalmente il suo sguardo scese a incontrare quello di lei. «Ti ho fatto male?»

«Il giusto.»

La sua risposta lo fece ridere più apertamente. «Il giusto?» ripeté, quasi incredulo «Questa mi è nuova.»

Lydia lo pizzicò su di un braccio. «Sì, sai... voglio dire, pensavo molto peggio! Daryl Ashton non è così terribile!»

𝐓𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐓𝐫𝐚𝐧𝐧𝐞 𝐋'𝐎𝐫𝐝𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora