.17. diversa

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Thomas

Si alzò dalle mie gambe correndo verso la cucina ed io, scattando in piedi feci lo stesso.
Non appena si voltò felice di aver vinto la gara sorrise ricordandomi una bambina.
Era una ragazza con la corazza dura che però aveva l'animo da bambina, un animo così dolce che neanche lei sapeva riconoscere considerandosi sbagliata, uno scarto della società.
Dopotutto i diversi mi colpivano nel profondo e lei...Mi aveva ucciso.
Abbassai lo sguardo verso il suo fondoschiena e lei mi riprese con una pacca sul petto.
«Tieni gli occhi al proprio posto signorino» Alzai le mani in segno di resa e mi diressi verso il tavolo.
Lei si sistemò i capelli dietro la schiena e prese la forchetta infilzando il pancake.
Feci lo stesso, afferrai la forchetta e tagliai un pezzo di dolce infilzandolo, mordendolo e gustandolo con ogni fibra del mio corpo, perché si, era divino.
Selene fece un mugolio di piacere e buttò la testa all'indietro. I capelli folti e neri le scivolarono per tutta la schiena ed io seguì ogni suo movimento.
«Wow, sono proprio buoni Thomas» Sorrisi come un ebete.
Stupido, sei stupido Thomas.
A quel puntò suonò il campanello.
Mi alzai e infilandomi le pantofole mi diressi verso la porta.
Trovai un piccolo biglietto per terra e lo presi rigirandolo tra due dita.
Chiusi la porta e girando biglietto vidi "A Selene, la mia farfalla"  Scherziamo?! Strinsi i pugni.

Posai il biglietto sul tavolo e lei sussultò notando il mio nervosismo.
«Non lo leggo, ti rispetto, ma almeno dimmi che cazzo è!» Lei prese il biglietto e ne lesse il contenuto spaventata e tremante.
Le vidi i lacrimoni spuntare agli occhi e sospirando abbassai la guardia.
Dovevo prenderla con le pinze.
«Quindi?» Chiesi cauto a non ferirla. Lei posò il biglietto sul tavolo e tremante si alzò poggiandosi al lavabo.
Ho fatto una cazzata.
Il suo petto si alzava e abbassava in continuazione, divenne pallida ed io le andai vicino spostandole i capelli dal viso. Andai nel panico, che dovevo fare?
«Ehi, scusami non volevo essere così...Scontroso» Lei scosse la testa.
«Non-non è colpa tua. Leggi il biglietto» Mi voltai verso il tavolo e presi il biglietto leggendolo.
"Ciao amore mio, scusami se in questi giorni non ti ho mandato nessuna lettera ma...E' difficile dopo che sei andata a con Thomas Murphy. Vi ho visti sai? Hai un fisico da urlo, lui poteva fare di meglio.
Ma la passione con cui lui ti baciava, la passione con cui tutto quel che è accaduto continua ad accadere quando l'opportunità si presenta, mi ha fatto pensare a quando, al posto di Murphy c'ero io.
Torneremo insieme farfallina mia, te lo prometto. Con amore il tuo amato Carlos." Stropicciai il biglietto in un pugno e mi voltai verso Selene. La scrittura era tremolante e confusa, Carlos scriveva bene, c'era qualcosa dietro.
Dovevo parlare con Denise.
«Carlos...Certo. Lo faccio a pezzi» Lei mi prese la spalla facendomi girare e con il volto inzuppato di lacrime scosse la testa.
«No, mi ucciderá Thomas.» Sospirai più arrabbiato di prima.
Ci aveva spiati.
Aveva spiato un ladro, un ladro con occhi ovunque, un ladro che vede tutto.
E non l'avevo visto?
«Ti chiamava farfalla...» Borbottai mentre lei si mordicchiava le unghie. Che cazzo.
«Non è importante adesso Thomas!» Sbottò poi asciugandosi le lacrime dal viso.
Poi si staccò dal lavello e scattò verso la sua borsa uscendo un secondo biglietto.
Me lo sventolò in faccia e me lo fece vedere, era il messaggio minatorio.
«È la stessa calligrafia, Thomas.» Disse poi andando verso la porta.
«Te l'avevo detto!» Urlai portandomi le mani alle tempie.
Lei strattonò i biglietti infilandosi le scarpe.
«Dove pensi di andare Selene?» Chiesi avvicinandomi a lei, cauto a non urtarla.
Lei prese i biglietti e li infilò in borsa.
«Vado da Carlos.» Spalancai gli occhi incredulo alle sue parole e prima che potesse uscire le afferrai il polso e la tirai indietro.
«Vengo con te» Scosse la testa e prese un elastico dal polso per legarsi i capelli.
«No Thomas, non devi» Infilai le scarpe e misi gli occhiali da sole lasciandole la mano e varcando la porta.
Lei uscì dopo di me chiudendo la porta e infilandosi il giubbino in pelle che aveva rubato a me.
«Ti picchierá come ha fatto con me Thomas...» Mi disse non appena posizionai il mio piede sull'acceleratore.
In quel momento rabbrividì e ricordai, come un flashback, l'ennesima volta in cui mio padre mi picchiava.

Era ubriaco, come sempre. Aveva gli occhi rossi e la camicia sporca di liquidi. Suppongo fosse birra o vomito.
«Thomas, aiuta tua madre a fare l'albero di Natale.» mi aveva detto sbronzo e sdraiato sul divano con una sigaretta in mano. Forse era erba, magari tabacco. Non lo so. Mi faceva solo paura mio padre.
Senza dire una parola andai verso mia madre che sforzandosi entrò l'enorme abete dalla porta, senza aiuto, senza un uomo al suo fianco.
Andai ad aiutarla ma il mio aiuto fù respinto da una sberla.
«Vai a prendere le palline.» Disse lei facendo un cenno con la testa verso la direzione della scatola contenente: Fiocchi, palline, stelle.
Presi la scatola e la posizionai sulla sedia della nonna, ad un passo dal televisore acceso a tutto volume che trasmetteva una partita di football.
Mio padre si alzò dal divano e capì di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Rabbrividì.
Si avvicinò a me e mi prese l'orecchio.
«Questa sedia è il posto delle palline?»  Si tolse la sigaretta dalle labbra e deglutì a fatica sentendomi soffocare.
Mi spense la sigaretta sul braccio provocandomi un gridolino che trattenni iniziando a lacrimare.
«Quella è la sedia di tua nonna, non puoi mettere le cose lì.» Disse a bassa voce mia madre guardandomi preoccupata e, continuando ad addobbare l'abete si nascose guardando mio padre sfilarsi la cintura.
Non avevo fatto niente.
«No papà ti prego, scusa. Non lo farò più papà scusami...» Mi prese il piccolo polso e iniziai a tremare piangendo.
«Fatti trovare a letto Poula.» Disse rivolgendosi a mia madre che annuì continuando ad addobbare l'albero.
Lui andò nel seminterrato, ci sarei rimasto per almeno tre giorni senza cibo né acqua.
Mi gettò in terra ed io, inerme caddi sbattendo la bruciatura appena inflitta da quel mostro di mio padre.
«Thomas sei sempre il solito disubbidiente! Io non ero così!» Gettò la bottiglia di birra in vetro per terra e lei si frantumò all'istante.
Prese un piccolo frammento di vetro e me lo porse.
«Tieni campione, io non farò nulla oggi, se ti saprai ferire senza piangere o fermarti ti porterò su, se no...Finirá molto male.»
Afferrai il pezzetto di vetro e scoprì la gamba, mi sarei fatto meno male? No.
Cominciai a graffiare, piano. Poi pressai fino a far uscire sangue dalla ferita e mio padre, arrivato ad un certo punto mi tolse il vetro dalle mani applaudendo.
«Non hai pianto. Sali, sbrigati.» Si scansò facendomi passare e quando varcai la porta mia madre non c'era più dietro l'albero.
Mio padre mi buttò sul divano e mi ordinò di tapparmi le orecchie.
Non lo feci, salì al piano di sopra in punta di piedi per scoprire se mio padre picchiava mia madre come faceva con me.
Non credo la stesse picchiando. Stavano facendo altro.
Scesi sotto inciampando all'ultimo gradino facendo un rumore sordo e disturbante che però mio padre non sentì.
Sospirai felice e tornai dolorante a sedermi sul divano.
Il copridivano era sporco di birra e macchiato di sigaretta spenta in piccoli cerchi.
Alzai il pantalone sporco di sangue tremante e avvolsi la ferita in un fazzoletto che mia madre portava sempre.

Tornai al presente non appena Selene mi scosse preoccupata.
«Thomas» Chiusi e aprì velocemente gli occhi voltandomi verso di lei.
Mi scoprì la gamba destra mostrandole quella ferita che era rimasta sulla mia pelle.
«Carlos non mi fará nulla Occhioni.»
«Perché mi stai facendo vedere quella ferita?» Passai l'indice lungo la ferita e poi la coprì.
«Quella me la sono fatta da solo, a sette anni. Per scampare dalle cinghiate di mio padre. Ti sembra una spiegazione convincente?» Il suo viso si rilassò in un sorriso malinconico.
«Thomas...»
«Gli farò un culo così a quel bastardo.»
Misi in moto e partì.

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