.20. Lupin

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Selene

Mi svegliò un suo piccolo bacio sul naso congelato.
Quando piano piano aprì gli occhi incontrai i suoi, senza badare al resto del viso lo vidi stringersi in un piccolo sorriso e mi baciò facendomi svegliare completamente.
«Oggi dobbiamo fare l'albero di Natale, Thomas.» Dissi con voce roca e impastata. Era il 23 dicembre...
Lui alzò gli occhi al cielo e annuì alzandosi dal letto.
Si infilò le pantofole e mi porse la mano facendomi alzare.
«La colazione è già pronta, scendi. Io torno subito.» Poi si allontanò scendendo le scale ed io mi infilai la vestaglietta natalizia adagiata sul comodino.

Il giorno prima successe tutto molto velocemente e fui scossa per molto tempo.

Scesi piano le scale, senza fretta e come arrivai al piano terra, vicino al divano c'era un tappeto bianco e della neve finta.
Sorrisi spontaneamente e il calore della stufa mi accolse vicino al pupazzo di una renna che teneva un cuore in mano.
Lo presi tra le mani e lo strinsi al petto ricordandomi della Selene bambina confortata dell'inverno.
Avevo un pupazzo simile da piccola, un cervo sorridente che abbracciavo durante la notte per non sentirmi sola dentro tutto quello schifo che vivevo alla struttura.
Ogni volta che cadeva un po' di neve su Manhattan io uscivo correndo con il mio cervo a fare un pupazzo di neve.
Quando c'erano le tempeste e i temporali mi infilavo sotto le coperte e abbracciavo "Signor cervo"
Non so dov'è adesso, dov'è finito, se l'ho venduto o se l'ho buttato, ma vedere quella renna mi fece scendere qualche lacrima.

Adagiai il pupazzo sul divano ed andai verso i fornelli dove trovai del latte e dei biscotti decorati in modo natalizio.
Poi Thomas spuntò da una piccola porta con una scatola bianca contenente delle palline.
«Eccole, vestiti che ti porto in un posto.» Disse poi dirigendosi verso di me e dandomi un piccolo bacio.
Io sorrisi e salì su per le scale vestendomi di fretta.
Come scesi lo trova davanti alla porta con un cappotto e dei guanti pronto ad uscire.
«Wow, sei...»
«Mozzafiato? Lo so Occhioni» Disse accennando un sorriso. Sempre vanitoso.
Mi fermai ad osservare i suoi capelli, avrei voluto affondarci le mani e soprattutto i suoi occhi e le sue piccole lentiggini sbiadite sul volto.
Lui era così bello, cosa ci faceva con una come me?

Poi prese il mio cappotto e mi aiutò ad indossarlo.
Mi prese per mano ed uscimmo dalla porta andando incontro ad un paesaggio innevato e davvero bellissimo.
Andammo a piedi fino ad una casetta vecchia e quasi sicuramente abbandonata.
Lui prima di entrare si piazzò davanti a me e sospirò.
«Sono cresciuto qui, questa casa mi ha dato tanti di quei brutti ricordi...
Ma non sono venuto qui per mostrarti quelli, sono voluto venire qui per farti vedere quando, anche nel buio pesto, una piccola fiaccola di dolcezza può risplendere nel cielo.» Rabbrividì al ricordo nitido della sera sopra il parapetto, "Per me non c'era nessuna stella" Magari me ne avevano mandata una, mi avevano mandato una stella in grado di far risplendere la mia vita oramai morta dentro un corpo che continuava a camminare senza anima.
Thomas aveva vissuto dentro un mondo rovinato e se io fossi stata in lui mi avrebbero già portato dei fiori su una pietra con una mia foto.
Ma io i fiori li voglio da viva e se lui è qui ed io non sono sotto terra...è un segno del destino, giusto?
«Sei l'uomo più forte che io conosca, Thomas» Lui sorrise e mi strinse tra le sue braccia e per un attimo avrei giurato di sentire il cuore sciogliersi dentro di me.
«E tu la più bella Occhioni.» Mi prese per mano e aprì la porta facendomi entrare in un paese del Natale.
Era come se tutto fosse fermo al venticinque dicembre, albero, addobbi, regali scartati, piatti sporchi sul tavolo apparecchiato e orologio fermo alle 00:00.
Perlopiù il calendario segnava il venticinque dicembre del 2013.
Mi voltai verso Thomas che immerso nel vuoto si guardava attorno.
«È tutto fermo...» Lui annuì.
«Il venticinque dicembre 2013 me ne sono andato di casa, a soli quattordici anni.» Quindi tutto rimase com'era?
Se n'era andato per suo padre, l'uomo che gli aveva ucciso la vita, l'infanzia.
«Quel Natale erano tutti felici, allegri, spensierati. Anche io lo ero con una pistola in mano che mi dirigevo chissà dove per salvare mia cugina. Ero da solo, non mi conosceva nessuno, avevo il via libera. Poi però mi ricordai del dover fargli il culo.
Scesi le scale mobili della stazione in cui mi trovavo e mi diressi verso casa mia, questa casa. Entrai piano dalla finestra e presi il mio passamontagna, poi aprì il baule ed impugnai la pistola di mio padre, una pesantissima pistola nera.
Mi tremava tra le mani e una volta uscito e spaccato la porta per rendere la rapina più realistica puntai l'arma contro gli invitati.
Mia madre iniziò a piangere, mio padre alzò le mani dove teneva la bottiglia di birra quasi finita ed io sparai un colpo al tetto per farmi dare ogni cosa.
Poi mi avvicinai a mio padre.
Gli puntai la pistola contro e sorrisi.
"Fatti male da solo, senza piangere e ti farò salire, se no..." gli dissi quello che mi disse lui anni prima, quando io dovetti farmi quella ferita sulla gamba.
Lui allora alzò le sopracciglia spaventato.
"Tyler" Mi implorò, mi implorò fino a strisciare in terra.
Non riuscì a fargli nulla quindi me ne andai e una volta uscito da questa porta non ci entrai mai più.
Ancora mi chiedo perché io porti il suo cognome ma so solo che quando scoprirono che io ero sparito lasciarono ogni cosa come il Natale del 2013.
Quella fù la prima di altre migliaia di rapine. Così sono diventato quel che sono oggi.» Io mi tuffai tra le sue braccia accarezzandogli la schiena e lui sospirò.
«Lupin...non sei solo. Non lo sarai mai, c'è la tua Jigen a stare con te.» Lui allora sorrise e versò una lacrima.
«Allora io ti amo piccola Jigen.» Salì sulle punte e lo baciai.

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