4.
Derek lo guardava con un bel paio di occhi da stronzo ricco, anzi, da stronzo e basta.
La sua ricchezza non era un dato pressoché importante, era un dato di fatto, era evidente; come Stiles era evidentemente povero. Era evidente che solamente gli stronzi fossero ricchi, anche se non era esattamente esatto pensarla a quella maniera: non era la stronzaggine a rendere ricchi. Era la ricchezza a rendere stronzi: senza ricchezza non ci si può permettere di essere stronzi.
Stiles, infatti, annichilito in quello studio troppo grande e troppo imponente per starci bene in mezzo, risultava semplicemente patetico, anche con il suo naso puntato per aria, le spalle magre tenute belle dritte ed una luce impervia negli occhi. Era comunque patetico, forse lo era persino più di quanto non lo sarebbe stato se non avesse tirato su tutta quella pagliacciata.
Era un ragazzo povero che stava sorseggiando una tazza del tè migliore in circolazione, che poteva permettersi solo se offerto da qualcun altro. Era lì a dare via il culo per qualche spicciolo in più. Patetico.
Eppure non c'era da prendersela con nessuno se il mondo girava a quella maniera, era giusto che primeggiassero i ricchi, erano solamente i ricchi ad andare avanti. A permettersi di essere stronzi. I poveri ed i patetici come Stiles non potevano permettersi nemmeno di vivere, a loro a malapena veniva offerta la morte, sorte che l'ospedale di Beacon Hills stava riserbando a suo padre.
Se non fossero i ricchi a prevalere su chiunque altro, il mondo si estinguerebbe pateticamente in breve tempo.
Questo Stiles lo sapeva, perciò mandò giù un altro sorso di bevanda bollente, che gli parve più amaro dei precedenti, e parlò con la voce modellata dal tè in infusione. "Qual è il tuo prezzo?", ripeté, come se avesse associato alla mancata risposta di Derek il fatto che, quello, potesse non aver udito la sua domanda.
Eppure non era così, e Stiles lo sapeva bene, c'erano quegli occhi da stronzo a confermarglielo, però ignorò il fatto e fece buon viso a cattivo gioco. Così giocò, e soggiogò l'ego di Derek. Ci provò. D'altronde, Mr Hale, anelava solo ad essere compiaciuto. "Quanto sesso vuoi che io faccia con te, affinché il mio debito venga estinto?", chiese poi il ragazzo, povero e patetico, dispensatore di belle parole rubate ad altri, non sue, trafugate nei libri che divorava di giorno e di notte mentre il ticchettio robotico della macchina della dialisi inficiava il suono dolce del respiro di suo padre.
Stiles se ne stava lì seduto con la sua bella faccia, il suo bel culo sodo ed un'intrigante voce sottile, era l'esemplare ideale di un bravo ragazzo del sud della West Coast, che frequentava un college rispettabile con eccellenti risultati. Un college che non avrebbe più potuto permettersi, che già ora non poteva più permettersi. Continuava a frequentare le lezioni per mantenere quel velo di apparente dignità che era l'unica cosa che, ormai, lo manteneva in piedi.
Avrebbe potuto laurearsi in breve tempo, invece stava sfumando tutto. Perché nemmeno con la sua bella faccia, il suo bel culo e la sua intrigante vocina avrebbe potuto far dimenticare a Derek la strafottenza e l'orgoglio con i quali aveva rovesciato il suo caffè al loro primo incontro, ed il guanto di sfida ad essi annessi.
Stiles sapeva già tutto questo, ma non diede a vederlo, e col cuore in gola attesa una risposta. L'attese perché sapeva che, stavolta, sarebbe arrivata. Ed arrivò, infatti: "Per lei non ho più un prezzo, Mr Stilinski", Derek non lo prese con le pinze, anzi, fu riccamente brutale.
Lo trafisse con quelle parole e con i suoi occhi sempre più stronzi. Gli si rivolse con il lei di cortesia, gli parlò come se non lo conoscesse, ed era vero, gli parlò come se non volesse conoscerlo, e non era vero.
Stiles percepì quel rifiuto sulla pelle, e fece male. Diversamente da Derek non era stato il suo orgoglio ad essere minato, ma tutto ciò che era; ma tutto ciò che aveva e che lo rendeva ciò che era. Avrebbe perso suo padre, e la sua laurea, e la sua ipoteca sulla casa. Avrebbe perso gli amici, anche se forse quelli li aveva già persi da tempo. Avrebbe perso il suo lavoro alla tavola calda, privo della decorosità per mantenerselo stretto. Avrebbe mantenuto a malapena la sua sgangherata Jeep e vissuto come i barboni sui cigli delle strade, annodati nei loro cappotti persino in estate.
"Hai perso la tua occasione", Derek, ora, gli si rivolse in modo confidenziale, e fu ancora più struggente, ed umiliante. Lo fece in un modo che rispecchiò un'intimità che forse non avevano, ma che comunque portò a segno il colpo. Poi Derek peccò di superbia e cadde anch'egli nella pateticità. "Io non do seconde possibilità", gli disse, e quella frase così commerciale e scadente sembrò provenire dalla peggiore soap opera.
Stiles rise, sprezzante, con lo sfarzo nel riso di chi non ha più nulla da perdere, perché ha già perso tutto.
In quel breve istante racimolò una forza ed un coraggio che non gli erano mai appartenuti prima. "Certamente", sentenziò, con pesante sarcasmo. "Perché l'ineccepibile delegato della Hale Enterprises Holdings Inc non può permettersi di dare seconde possibilità", gracchiò, con la voce rauca di rabbia e di un principio incipiente di pianto. Il suo coraggio e la sua forza si estinsero non appena quelle parole lasciarono la sua bocca, ed il loro eco leggero si disperse nell'aria.
Abbassò gli occhi sulle sue mani, lì dove teneva stretta fra le dita bianche la tazza di tè, e si vide riflesso all'interno: con gli occhi già gonfi e le guance paonazze. Rovesciò la tazzina e verso tutto il tè caldo sul pavimento.
Lo fece incurante di macchiarsi le scarpe e l'orlo dei pantaloni, d'altronde rimaneva sempre un poveraccio, anche con gli orli belli puliti.
Lo fece tenendo gli occhi fissi in quelli di Derek, che non accennò a nulla. Poi, quando ebbe svuotato tutta la tazza, la guardò per un attimo all'interno, vuota, sporca solo dei filtri del tè, ed in quei grumi bruni trovò le ceneri di se stesso. La lasciò cadere a terra, la porcellana si frantumò in numerosi spezzi, e quel crepitio infinito di cocci andò ad infilzare l'aria densa di tensione.
Qualcosa si mosse negli occhi dell'uomo, appena un riflesso fulmineo nelle pagliuzze verdi dell'iride. Inarcò un sopracciglio, pressoché scettico, e si schiarì la gola prima di parlare: "Quando sei con me sembra che tu debba prenderla sempre con qualche povero bicchiere", commentò, neutro e non espose nessuna delle sue emozioni: non diede modo a Stiles di vedere che la sua azione lo avesse infastidito o divertito.
Mr Hale rimase impeccabile nel suo completo da venticinquemila dollari e lo guardò, come in attesa di un'altra delle sue bambinate grottesche.
"Dovresti ringraziare Dio che non te lo abbia rovesciato in faccia", sibilò Stiles, schioccando la lingua contro il palato e con le lacrime che già spingevano per uscire.
Si sentiva la faccia bollente ed umida, e le tempie che scoppiavano nello sforzo di trattenere le lacrime. In quelle condizioni non riusciva nemmeno più a respirare.
Derek inarcò anche l'altro sopracciglio ed accennò un sorriso strafottente, quell'affermazione gli strappò un risolino irrisorio. "Io non credo in Dio", commentò come se fosse cosa ovvia, asettico e monocorde.
A quel punto Stiles, con impeto, calciò il manico della tazzina infranta a terra, lo mandò a finire sotto la scrivania, producendo uno sciabordio sordo con la suola delle sue scarpe sul pavimento bagnato di tè.
"Allora ringrazia chi cazzo ti pare!", urlò, battendo un pugno chiuso sulla scrivania, per il contraccolpo il bicchiere di Derek sobbalzò e rischiò di rovesciarsi.
Questa volta il lampo negli occhi dell'uomo durò più a lungo. La sua espressione assunse un'aria minacciosa, che fece evanescere tutta la baldanza di Stiles.
"Dopotutto sei solamente un pervertito bastardo, un megalomane, un sadico, un egoista egocentrico, e non mi stupisce per niente il fatto che tu non creda in Dio! Mi fai semplicemente... vomitare", il ragazzo si prese una lunga pausa prima di pronunciare l'ultima parola, forse lo fece per riprendere fiato – perché aveva gridato fino a quel momento – forse per racimolare il coraggio necessario per un tale affronto, forse lo fece perché non aveva più nulla da perdere e non c'era nulla che lo spaventasse più dell'idea di aver perso già tutto.
Era tutta colpa di Derek, che gli aveva proposto una chimera inesaudibile. Che gli aveva fatto assaporare qualcosa di molto crudele, più crudele di Jackson Whittemore quando gli infilava la testa nei cessi del liceo, più crudele di Melissa McCall che gli si presentava coi suoi occhi buoni da madre ma era meno magnanima di una matrigna.
Derek Hale gli aveva fatto credere in una speranza che per lui non c'era e non ci sarebbe mai stata, perché solo i ricchi hanno diritto di sperare. Di sperare in qualcosa che possono permettersi.
Derek si alzò di scatto dalla sua poltrona e Stiles ebbe seriamente paura di lui.
Il ragazzo sobbalzò di netto, quando con uno schianto feroce l'uomo si aggrappò con una mano al bordo sinistro della scrivania. I fogli sul banco sussultarono e bastò quella semplice mossa per far schizzare lontano la tazzina di caffè di Derek, Stiles non riuscì nemmeno a cogliere dove fosse finita. La sentì solamente infrangersi contro qualche superficie, e quel crepitio gli rimbombò nelle orecchie e nel cuore.
Derek era in piedi, ora, ricurvo su di lui, mentre copriva col suo corpo massiccio la superficie della scrivania che li divideva, e da quella posizione cercava di dominarlo. Il ragazzo si sentì piccolo ed insignificante, povero e patetico; si sentì esattamente com'era. E sentirsi com'era non gli piacque affatto.
Lo sguardo di Derek pesava su di lui, colmo di rimprovero e di rabbia. Una rabbia animale, che gli deformava i tratti perfetti del viso e lo rendeva quantomeno simile ad una maschera demoniaca. Bastò un secondo, persino di meno, e solamente piegando il braccio: Derek scaraventò la scrivania di lato. Quella andò a collidere contro il muro perfettamente intonacato e produsse un boato enorme, assurdo, spaventoso, che rimbombò nel petto di Stiles e rischiò quasi di fargli esplodere la cassa toracica.
Stiles sentì nettamente il legno della scrivania screziarsi, le fessure aprirsi, mentre schegge di legno di varie dimensioni piovevano sul pavimento come una pioggia legnosa e terrificante. Dal muro sembrarono scivolare via pezzi di nuvole, mentre l'intonaco bianco crollava inesorabilmente per terra e rivelava porzioni di muro nudo.
Era talmente sconvolto che rimase esterrefatto, e non si domandò neppure di come un semplice essereumano avesse potuto compiere un atto simile, mostrare una forza simile.
Derek aveva scaraventato una scrivania di legno massiccio, pesante almeno quanto Stiles, e lo aveva fatto con una potenza tale da rompere il muro. Difatti, dietro la sagoma della scrivania lasciata nella pittura delle pareti, si aprirono varie crepe, in ascesa, tendenti al soffitto, simili ai rami di un albero.
Il ragazzo le sentì aprirsi tutte, quelle crepe, producevano un rumore agghiacciante, sembrava seriamente che il muro si stesse lacerando. Per un attimo temette che gli sarebbe crollato il soffitto in testa. Poi vide Derek, con i denti digrignati, gli occhi fuori dalle orbite e le vene del collo gonfissime, ed ebbe paura che quello potesse fargli del male fisico, con le sue stesse mani.
Pensò a quanto fosse assurda quella situazione, a come fosse possibile che nessuno, avendo udito tutto quel trambusto, fosse ancora andato a controllare.
Forse era la prassi, in quel posto? Quante vittime Derek aveva mietuto prima di lui?
La paura gli fece tirare fuori la voce, miagolò frasi di difesa, era meno della carcassa di una preda già sbranata da un predatore.
"Come hai potuto propormi un affare del genere?! Mio padre è tutto ciò che ho! Io non ti ho chiesto soldi per divertirmi o fare la bella vita, li ho barattati con me stesso, per salvare mio padre! Avresti dovuto capirmi tu, tu più di tutti! Tu hai perso la tua famiglia in quell'incendio, perché vuoi far rimanere solo anche me?! Tu dovresti sapere come ci si sente a non avere nessuno che ti ama! Ad aver perso tutto!", Stiles sputò fuori tutto, non lo fece solo per salvarsi la pelle, lo fece perché sentiva il bisogno di dire quelle cose; di barattare, in cambio di qualche secondo in più, tutti i risultati delle sue ricerche degli ultimi giorni.
Derek rimase di sasso, il suo viso sbiancò improvvisamente, i tratti si ammorbidirono ed irrigidirono contemporaneamente, tuttavia ripresero la loro illusiva perfezione e non furono più spaventosi come poco prima. L'uomo rimase con la bocca socchiusa, senza respiro, poi mostrò un accenno di affanno, col petto che sobbalza e tirava deliziosamente i bottoni della sua camicia.
Stiles, però, sapeva che Derek non aveva perso il respiro per lo sforzo, tutt'altro, erano state le sue parole a colpirlo. Per un attimo, con gli occhi vuoti e sgranati, Mr Hale apparve incredibilmente fragile. Il ragazzo quasi faticò a riconoscerlo. Durò poco, comunque, perché Derek riacquistò quasi immediatamente la sua autorevolezza. "Come sai queste cose?", bisbigliò, senza fiato, muovendo a malapena le labbra.
C'era quasi del rimprovero nella sua voce, come se avesse voluto far capire a Stiles che aveva ficcanasato troppo. E lui si grattò la punta del naso, pressoché imbarazzato, però mantenne lo sguardo alto e fiero, senza lasciarsi intimidire troppo.
"Beh... sei un personaggio pubblico, e tale è la tua vita privata", minimizzò dicendo, ma Derek non gli credette: "Cazzate!", sputò fuori, con la voce alterata e gli occhi che cominciavano a sgranarsi di nuovo.
Un'inedita scarica di adrenalina percorse interamente il corpo del ragazzo, da capo a piedi, e fece schizzare in alto il suo istinto di autoconservazione.
"Ho fatto delle ricerche, va bene?!", sembrò giustificarsi il più giovane, gesticolando vivacemente con le mani, in realtà stava cercando solo di porre quanti più ostacoli tra lui e un Derek Hale piuttosto inferocito.
"Tu credi che io, senza prima fare delle ricerche, permetta a qualsiasi idiota che mi raccoglie in un corridoio di entrare nel mio culo?!", grugnì Stiles, sfacciato e stizzito, parafrasando le parole di Derek, dette poco prima.
"Tu credi che io, senza prima fare delle ricerche, proponga a qualsiasi idiota che mi ritrovo con il culo all'aria in un corridoio di entrare nei miei pantaloni?".
"Come sei arrivato a notizie simili?! Persino la stampa non ne è stata capace!", ora, perlopiù, Derek era sinceramente sorpreso, quasi incuriosito.
Stiles fece una smorfia amareggiata con la bocca, che gli deformò tutto il viso. Volse lo sguardo altrove, per non permettere all'uomo di notare i suoi occhi lucidi. "Beh... sono pur sempre il figlio dello sceriffo", mormorò, poi aggiunse col fiato corto e la voce spezzata: "Anche se la mia città sembra averlo dimenticato...", poi si schiarì la gola, e disse: "Volevo capire chi fossi".
Derek lo guardò intensamente negli occhi. "L'hai capito?", gli chiese, immobile davanti a lui, con le braccia stese lungo i lati del corpo. In una posizione rilassata, ma non troppo.
A quelle parole Stiles cambiò faccia, gli ritornarono in mente le parole di Derek: "Hai perso la tua occasione" [...] "Io non do seconde possibilità".
"Sì", sibilò, gelido. "Ho capito che sei uno schifoso bastardo!", lo aggredì, crudele, strizzando gli occhi per impedire alle lacrime di uscire. Era arrabbiato e deluso e ferito, da tutta quell'intera situazione.
Derek si irrigidì immediatamente, assottigliò minaccioso le palpebre e gli puntò un dito contro. "Ragazzino, non rivolgerti a me in questo modo", lo ammonì, con voce greve che nascondeva un accenno di qualcos'altro.
Il ragazzo rimase solamente più infastidito da quel dito puntato contro e da quell'appellativo infantile – non era un ragazzino, era un uomo, era stato costretto a diventare uomo troppo in fretta, ma le sue spalle non erano abbastanza forti da sopportare tutto il peso delle sue nuove responsabilità - e si stizzì maggiormente, calcò la mano, perché il sarcasmo era l'unica arma che gli era rimasta, insieme a sessantasei chili di ossa e pelle chiara.
"Altrimenti che farai, lascerai bruciare anche me? Come hai fatto con loro, eh Derek? Mi farai questo?", sputò fuori, con cattiveria.
Per Derek, quello, fu semplicemente troppo: si scagliò su di lui e con un calcio scaraventò la sedia su cui Stiles era seduto lontano da sotto il suo culo. Poi, prima che cadesse a terra, lo afferrò per la collottola e lo tirò su in piedi.
Il ragazzo sentì, sotto le sue scarpe, i frammenti della tazzina del tè scricchiolare acuti e gli fece un brutto effetto. Immaginò le sue ossa stridere nello stesso modo sotto la presa soffocante di Derek. Per ora rischiava solamente di soffocarlo, tenendolo stretto per il colletto della maglia.
Poggiò le sue mani su quelle dell'uomo, per sfuggire da quella stretta soffocante, ma fu tutto inutile: le dita di Derek erano di acciaio e bruciavano tanto da ustionarlo, quando gliele toccò.
"NON RIVOLGERTI A ME IN QUESTO MODO!", gli ripeté, gli urlò in faccia, con l'alito che sapeva di caffè.
Per un secondo Stiles rimase assuefatto da quell'aroma, poi prevalsero la paura e la rabbia. L'audacia. La sfrontatezza. La scelleratezza. "Hai mai pensato se ci fossero state le tue sorelle al mio posto?! Eh?! Hai mai pensato se fossero state loro ad aver bisogno di soldi per salvare la propria madre, cosa avresti consigliato loro? Di fare le puttane, come hai fatto con me! AVRESTI FATTO QUESTO?!", strillò con tutto il fiato che aveva, tanto che quando esaurì la voce gli bruciò terribilmente la gola.
Gli si spezzò il respiro dal bruciore, acuito dalla stretta di Derek che non accennava ad allentare contro il suo collo.
A quel punto gli occhi di Derek divennero rossi, rossi e spaventosi come non li aveva mai visti prima, gli occhi di un mostro, di una bestia, di un assassino, fece con lui quello che aveva fatto con la scrivania: sempre mantenendolo per la collottola lo sollevò da terra e lo scagliò contro una delle pareti.
Mentre il suo corpo sferzava l'aria, leggerissimo mentre schizzava lungo la stanza come un proiettile, Stiles strizzò forte gli occhi, preparandosi all'impatto che lo avrebbe fatto sfracellare contro il muro. Gli parve già di sentire lo scricchiolio delle sue ossa che si stropicciavano come cartapesta.
Ma non accadde. Derek lo afferrò prima, lo rimise con i piedi per terra e poi lo voltò, tenendolo fermo contro il muro, con una guancia premuta contro la parete.
Poi, Stiles, sentì il respiro di Derek vicinissimo: questi gli si premette contro, strusciando il suo inguine contro le natiche del più giovane.
"Ragazzino...", lo chiamò di nuovo, "...io non ti ho consigliato di fare la puttana: ti ho consigliato di fare la mia puttana", gli bisbigliò nell'orecchio, con il fiato caldo, di nuovo calmo, mentre strusciava su di lui il suo membro eccitato.
Al ragazzo si spezzò il respiro, con un miagolio acuto. Le guance gli scoppiarono di caldo, e non seppe discernere per quale sentimento: se per rabbia, indignazione, stizza, lusinga o eccitazione. Poi Derek lo voltò di nuovo, mettendolo con le spalle al muro. E lo guardò fisso negli occhi, intensamente.
Stiles rabbrividì, per la paura e l'emozione. Poi Derek lo baciò.
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Baratto - STEREK
FanfictionSterek AU. Stiles e Derek non si conosco. Il primo ha bisogno di soldi per curare il padre in coma farmacologico. Il secondo glieli offre, ma a una condizione. Il suo corpo in cambio dei soldi. Dal capitolo I: "Comunque, come le stavo dicendo, so c...