Da quando John era stato ricoverato lui vi entrava raramente, le prime volte per pulire ora nemmeno quello. Ogni volta varcare quella soglia diventava sempre più doloroso. Per questo da settimane non vi entrava più, ma in quel caso fu costretto dalla situazione. Gli serviva un cappotto elegante da indossare sopra il completo, già le sue scarpe stonavano vergognosamente e lui non aveva nulla nel suo guardaroba che non fossero giacchetti di jeans o piumini ingombranti. Decisamente inadatti per l'occasione. Con il cuore in gola entrò in quella camera, tutto era rimasto immutato: con i lenzuoli ancora placidamente poggiati sopra i mobili, per non farli rodere dalla polvere. Il letto immacolato. Le tende chiuse. Tutto in quella stanza sapeva di abbandono, di trascuratezza, di... morte. Era una camera morta, disabitata. Gli si strinse dolorosamente lo stomaco. Con passi insicuri, le gambe instabili, raggiunse frettolosamente l'armadio e tolse dall'involucro protettivo il cappotto di lana nera di suo padre. Forse gli sarebbe stato un po' largo sulle spalle e sicuramente sarebbe sembrato datato in confronto alla modernità del completo, ma non poteva permettersi di meglio. Quando lo indossò fu stordito dall'intenso profumo del dopobarba di suo padre: pino silvestre e muschio bianco. Quel profumo fece brulicare la sua mente di pensieri, di ricordi, e scambiò la stoffa che avvolgeva il suo corpo per le braccia di suo padre. Per un banale secondo gli sembrò di starlo abbracciando davvero.
All'improvviso Stiles boccheggiò, tutto era troppo doloroso. Uscì come una furia da quella stanza, come se all'aria all'interno fosse irrespirabile e per i suoi polmoni contratti sembrava davvero così, inspirò profondamente solo una volta giunto nella zona sicura del corridoio. Chiuse quella porta alle sue spalle, deciso a non aprirla mai più.
Una luce brillante si infranse contro la parete del corridoio, era una luce dal riflesso dorato, che filtrava dalle tendine schiuse della cucina. Un bagliore simile avrebbero potuto produrlo solo i fari di un'automobile.
Così con il cuore in gola, il cappotto di suo padre indosso e le scarpe sportive ben allacciate, uscì di casa, ritrovandosi in piedi sul portico a fissare silenzioso ed immobile la Berlina nera di Derek parcheggiata davanti il suo vialetto. Con le gambe molli scese un gradino dopo l'altro, temendo di cadere per l'emozione, temendo che i lacci troppo lunghi delle sneakers si slacciassero improvvisamente e lo facessero inciampare com'era solito fare. Quelle futili preoccupazioni lo fecero andare in iperventilazione, e il freddo gelido e tagliente della sera si infranse sulle sue guance fresche di colonia.
Arrivò allo sportello posteriore della Berlina e non venne nessuno ad aprirlo, sicuramente Boyd – che presumeva fosse alla guida – non gli avrebbe fatto da chauffeur, in fondo era il damerino di Derek e non il suo. Così fu costretto ad aprirsi la portiera da solo e solo in quel momento si rese conto di ciò che i vetri oscurati nascondevano: il sedile posteriore era vuoto. Questo lo sorprese molto, Stiles era convinto che ci fosse lì seduto Mr Hale, composto e imperturbabile mentre lo attendeva. Invece il sedile era vuoto e non c'era nessuno oltre lui ed il guidatore. Evidentemente il suo silenzio dovette essere molto rumoroso perché non appena si sedette e chiuse lo sportello dietro di sé, Boyd disse: "Derek è già al Beacon Hills Museum" e non aggiunse altro, prima di ingranare la marcia e partire.
Rimasero in silenzio per tutto il viaggio, Boyd – impassibile nel suo ruolo di guidatore attento – non distoglieva gli occhi dalla strada, se non per pochi secondi quando lo guardava di sfuggita tramite lo specchio retrovisore e Stiles non diede mai adito di aver intercettato le sue occhiate furtive. Restò ammutolito, a rimuginare sui propri pensieri. Ancora non si sentiva del tutto sicuro della scelta che aveva preso. Raggiungere Derek era davvero la cosa giusta da fare? A quel punto sì, perché dubitava che Boyd gli avrebbe permesso di tirarsi indietro, di sicuro non lo avrebbe riportato a casa e lo avrebbe fatto entrare a calci in quel museo.
Così Stiles prese un respiro profondo e pensò che lo stava facendo per suo padre e per il suo migliore amico, entrando nelle grazie di Derek, fornendo quante più informazioni possibili su di lui a Parrish e tutto il distretto di polizia li avrebbe aiutati entrambi. Provò a far decelerare il suo cuore frenetico e gettò lo sguardo fuori dal finestrino, senza vedere nulla di concreto, soltanto sagome sfumate per via dalla velocità sostenuta con la quale la Berlina sfrecciava lungo le strade deserte della cittadina.
Magari se i rapporti tra lui e Boyd non fossero stati così spinosi avrebbe potuto chiedergli tante cose di Derek, sapere qualcosa su di lui e cominciare finalmente a conoscerlo. A sapere chi aveva realmente davanti, e non solo la maschera da stronzo egocentrico che Mr Hale si ostinava a indossare.
Capì che erano arrivati a destinazione quando Boyd frenò dolcemente e guardando fuori dal finestrino opposto Stiles si rese conto che l'automobile si era fermata davanti l'ingresso del museo.
"Lui ti aspetta dentro", borbottò Boyd dal posto di guida, storcendo la bocca come se pronunciare quelle parole gli costasse un'enorme fatica. Era contrariato, quasi come se fosse geloso di Derek. E soprattutto delle "attenzioni" anomale e distorte che Derek gli dedicava. In più di un'occasione l'energumeno gli aveva dimostrato la sua ostilità, e Stiles non ne capiva davvero il motivo. Probabilmente pensava che lui non fosse abbastanza per Derek. Era piuttosto ovvio che lo pensasse, però non ne capiva il motivo. Magari non c'era nulla da capire, la differenza tra lui e Derek era epocale. Abissale.
Comunque, con quelle parole l'autista l'aveva esplicitamente invitato a scendere e Stiles lo fece, come prima aprì lo sportello da sé – senza che l'altro si scomodasse a fare il suo lavoro e scendesse ad aprirgli la portiera – e uscì dalla Berlina, non fece in tempo a mettere i piedi sul marciapiede che l'automobile sfrecciò con un vibrato roboante del motore.
Con un profondo sospiro Stiles si sistemò il colletto del cappotto e con un'alzata scettica delle sopracciglia gettò un'occhiata verso il museo, le scale che precedevano l'entrata erano state ricoperte da un lungo e raffinato tappetto rosso. Un'esile folla di persone in smoking e lunghi abiti da sera veniva ordinatamente messa in fila dagli agenti della sicurezza. L'invito per il gala contenuto nella tasca del suo cappotto sembrò pesare improvvisamente, come se spinto verso il basso dalla forza di gravità. Le sue scarpe inadatte gli strinsero i piedi, facendolo sentire sempre più inappropriato ogni secondo che passava. Prese coraggio e salì le scale, gradino dopo gradino, consegnò il suo invito all'energumeno con il taglio corto e l'auricolare all'orecchio. Le mani di Stiles tremavano e vide l'agente della sicurezza scrutarlo con sospetto, come se nascondesse qualcosa di losco sotto il cappotto. Il ragazzo strofinò i piedi l'uno contro l'altro per il nervoso: si sentiva così inadeguato... con un cipiglio corrucciato nel mezzo delle folte sopracciglia l'uomo lo guardò e disse in tono monocorde: "Mr Hale l'attende nella sala buffet", poi gli riconsegnò l'invito e aprì da un lato il divieto creato con un spesso cordone rosso striato in oro. Con una mossa impacciata Stiles trascinò la sua esile figura all'interno del museo e lì, subito dopo aver varcato la soglia, fu preso dal panico.
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Baratto - STEREK
FanfictionSterek AU. Stiles e Derek non si conosco. Il primo ha bisogno di soldi per curare il padre in coma farmacologico. Il secondo glieli offre, ma a una condizione. Il suo corpo in cambio dei soldi. Dal capitolo I: "Comunque, come le stavo dicendo, so c...