Stiles reagì nella maniera più sbagliata, o forse nella più giusta. Dipende dai punti di vista. Fino a poco prima, nel vedere il viso perfetto di Derek protendersi verso il proprio, si era ritrovato confuso, spaesato, persino frustrato per via dell'indecisione che lo aveva colto. In fondo l'uomo era bello – e forse definirlo solamente "bello" era poco – e loro due si erano già baciati – lui non aveva dimenticato di certo il loro incontro/scontro nell'ufficio di Mr. Hale – eppure in quei millesimi di secondo che separavano le loro facce, non seppe cosa fare, gli sembrò che non si fossero mai baciati, che non si fossero mai visti... che non si conoscessero. Ed in effetti era proprio così. Loro due non si conoscevano, affatto. Erano semplicemente due persone in mezzo a tante altre che affollavano quel marciapiede – in particolare – e quella città – in generale – e non valeva nulla che Derek sapesse come gli piaceva prendere il tè o dove studiava, non valeva nulla che Stiles sapesse del doloroso passato di Mr. Hale. Erano e rimanevano ancora due estranei. Due estranei che a modo loro, però, nel loro non conoscersi si erano fatti già tanto male.
Fu proprio il ricordo improvviso, quasi spontaneo, di tutto quel dolore che gli scoppiò al centro del petto, che gli fece prendere una decisione. Una decisione non dettata dal raziocinio né da un distorto buon senso, in fondo Derek sembrava essere l'unica possibilità di salvezza di suo padre e dunque anche di lui, della sua casa, dei suoi studi; fu una decisione istintiva, dettata dall'istinto di sopravvivenza non appena il volto di Derek si fece più vicino. In quel preciso istante, mentre le labbra dell'uomo soffiavano a poco dalle sue un alito al profumo di tabacco e mentolo, il panico si impadronì di lui, e si manifestò con una poderosa stretta allo stomaco. Le labbra di Derek erano sempre più vicine e quella loro eccessiva vicinanza gli offuscò lo sguardo, l'immagine del viso dell'uomo apparve distorta ai suoi occhi ed in quel momento il viso di Derek prese le sembianze di tutti coloro che gli avevano fatto del male. In un attimo tutti furono Derek, o forse fu il contrario: in un attimo Derek fu tutti loro. Gli ritornò tutto in mente: Jackson e Danny che gli infilavano la testa nel water quando era ancora un ragazzino, i medici che lo guardavano con apatica stizza quando chiedeva loro notizie sulle condizioni di salute di suo padre, il suo professore di letteratura che probabilmente lo avrebbe portato alla laurea solo se fosse riuscito a portarselo nel letto, ed infine Derek, in modo in cui aveva contrattato il suo corpo, il suo tempo, la sua dignità. Il poco riguardo che aveva avuto di lui sin dall'inizio, la sufficienza e la superbia col quale lo aveva trattato, il modo in cui l'aveva aggredito nel suo ufficio e gli aveva strappato il primo bacio senza nemmeno chiedergli il permesso. Poi, ora, cercava di insabbiare tutto con un bel mazzo di rose e un bigliettino di congratulazione per la buon riuscita del suo esame già prestampato. Lo stava comprando. Per l'ennesima volta. Mentre pensava tutto questo, mentre le labbra di Derek non erano ancora approdate sopra le sue, le sue dita si strinsero in maniera talmente forte intorno al mazzo di fiori che superarono la carta pesta che avvolgeva i gambi delle rose e riuscirono a ferirsi con le spine.
Il dolore fisico, leggero, quasi impercettibile che provò, bastò per far sfociare tutto ciò che sentiva dentro. Aveva bisogno di liberarsi di quel dolore. Panico, dolore, paura, vergogna, frustrazione, ognuna di quelle emozioni abbandonò il punto in cui si era sedimentata nel suo corpo e defluì rapidamente al suo braccio destro. Così, in maniera naturale, Stiles schiaffeggiò Derek. Lo schiocco della mano del ragazzo contro la mascella squadrato dell'uomo fu ammorbido dal tonfo dei fiori sull'asfalto. Il cuore di Stiles scivolò con l'eco di quel tondo dritto nel suo stomaco. Forse era per la paura. Forse per un prematuro rimorso. Forse temeva semplicemente la reazione di Derek. E di Boyd, la sua personale guardia del corpo che non vedeva letteralmente l'ora di poterlo smembrare.
Colpire Derek fu come colpire una statua di granito, la sua pelle era durissima al tatto, ma anche bollente. Provvista di quel torrido afrore che Derek sembrava disseminare lungo il suo corpo ogni volta che lo guardava. Ogni volta tranne quella, perché in quel momento gli occhi dell'uomo erano gelidi, quello sguardo indecifrabile gli si ficcò nel petto come una lama ghiacciata. Il ragazzo si morse l'interno delle guance, irrigidendo le membra, come in attesa della sua punizione. Come se alla stregua di un bambino prepotente Derek lo avrebbe colpito di rimando, per pareggiare i conti. Ma Derek non era un bambino e non era nemmeno un suo compagno di corso, Derek era qualcosa con cui Stiles ancora non si era confrontato. Derek era un uomo. Un uomo d'affari, potente, importante, costantemente con gli occhi di tutti addosso e di certo non si sarebbe infangato la reputazione schiaffeggiando un ventenne capriccioso fuori un'affollata università.
Con un coraggio che non credeva di possedere mantenne il gioco di sguardi con Derek. Derek la sua espressione era ancora indecifrabile, ma mascella rigida sotto il leggero velo di barba scura, che non era sintomo di trascuratezza, bensì lo rendeva ancora più accattivante. Con quello schiaffo Stiles non aveva solo rinunciato a quel bellissimo uomo, ma aveva rinunciato anche a suo padre, sebbene non alla sua dignità. In quel momento si chiese se quella – la sua dignità – fosse abbastanza per tenere acceso il respiratore meccanico che teneva in vita suo padre. Eppure, quello stesso padre gli aveva insegnato il senso dell'onore, del rispetto per sé stesso e per gli altri. John stilinski era un uomo che si era formato dal nulla, con il proprio sudore si era costruito una carriera ed una casa, da riempire con una famiglia, che nel corso degli anni si era sgretolata lentamente. Insieme al mazzo di fiori, Stiles sentì pesare suoi propri piedi le macerie della sua famiglia. Ma non poteva vendersi, e soprattutto non poteva vendere suo padre, sarebbe stato come ucciderlo. Perché vendendo sé stesso, avrebbe venduto anche suo padre.
Le sue orecchie udirono un singhiozzo strozzato, inizialmente credette che provenisse da Derek, ma quello era rimasto granito e imperturbabile al proprio posto. In realtà quel singhiozzo era sfuggita a Boyd, poco lontano da loro. Anche la sua espressione era diversa da quella che Stiles immaginava, credeva che quel borioso energumeno sarebbe stato furioso per il gesto che aveva commesso, non aveva dimenticato la reazione sproposita con la quale Boyd aveva reagito quando Stiles aveva toccato Derek per allontanarlo da sé ed ora che lo aveva colpito in maniera così diretta, credeva e temeva che quello l'avrebbe steso con un colpo solo. Ma non fu così. Più che irato, Boyd lo guardava sconvolto. Come se non potesse credere a ciò che aveva appena visto. Come se non potesse credere che Stiles avesse davvero colpito Derek. Come se non potesse credere che Derek non avesse reagito. In realtà, e solo in quel momento se ne rese conto, Derek non era imperturbabile come sembrava, perché guardandolo più attentamente Stiles si rese conto di quanto fossero rigide le sue braccia, di come avesse stretto le mani in due pugni e di come questi tremassero impercettibilmente. Un lampo vermiglio, fugace, balenò per un secondo negli occhi verdi dell'uomo e Stiles ne ebbe paura.
"Vattene!", urlò, con i polmoni pieno di fiato per la paura e per la rabbia e per la stanchezza. Era stanco di dover chiedere aiuto, ma era stanco anche di avere paura, così non si fece sopraffare dalle emozioni, o meglio, non si fece sopraffare dalle emozioni sbagliate, quelle che lo avrebbero reso alla mercé dell'uomo. "Va' via, levati dai coglioni! Te l'ho già detto: io non sono in vendita!", continuò, quando Derek non diede cenno di volersi muovere. Di voler fare alcunché. E quando quello espirò profondamente dal naso, come se per tutto quel tempo avesse trattenuto il respiro, qualcosa cambiò in Stiles. Quando ebbe la conferma che Derek che ne sarebbe andato davvero, e con lui tutto ciò che offriva, una parte recondita di lui gli chiese di restare: "Fermo. Rimani. Non andare", mute suppliche che si propagarono solo nella sua testa, senza essere pronunciate dalla sua bocca.
Le mani di Derek smisero di tremare, lui distese lentamente i palmi e diede due o tre colpetti sulla propria giacca, come se la stessa spolverando. Mantenne un portamento rigido e non sfiorò neanche per caso il punto in cui Stiles lo aveva colpito, come se non fosse mai successo. Forse se lo era immaginato, perché la pelle dell'uomo non presentava nessun trauma. Forse perché lo aveva colpito troppo piano o troppo da ragazza. Perché le ragazze schiaffeggiano quando si sentono oltraggiate, mentre i ragazzi sganciano pugni contro chiunque manchi loro di rispetto. Forse Whittemore aveva ragione, era solamente una checca che meritava di farsi infilare la testa nel cesso.
Derek sollevò un braccio e Stiles fu percorso da un tremito. Lo avrebbe colpito davvero?, si chiese, e la risposta giunse poco dopo, senza nessun colpo. Con un movimento fluido l'uomo sollevò un braccio e con due dita fece segno a Boyd, in piedi dietro di lui, come per chiamarlo. Evidentemente doveva essere un loro linguaggio in codice, perché quello che a lui parve un gesto senza significato fece saltare Boyd sul posto e gli fece prendere il posto di guida in macchina. Così lui e Derek rimasero soli sul marciapiede, soli in mezzo a decine e decine di persone, che tuttavia con il loro curiosare di sott'occhio sembravano non curarsi di loro, non troppo perlomeno. Proseguivano per la loro strada, pur sempre occhieggiandoli e bisbigliando tra loro. Le guance di Stiles si riempirono di calore e si fecero subito rosse, lui odiava essere al centro dell'attenzione. Questa sua timidezza non gli faceva auspicare di essere il focus dei pettegolezzi universitari. Mentre le guance gli ribollivano per l'imbarazzo e per chissà quante emozioni, nella sua mente vibrava solo un pensiero: "Rimani. Rimani... non andare...", poteva sembrare folle e contraddittorio visto come aveva reagito alla proposta di Derek, visto come aveva reagito alla sua sola vicinanza, quando questa si era fatta troppo molesta, però in fondo desiderava solo essere rassicurato. Curato da tutto il male che gli era stato fatto, e che per via diverse continuava a provare. In realtà quando aveva urlato a Derek di andarsene, con quelle parole non aveva scacciato lui bensì la sua proposta di comprarlo, di reputarlo semplicemente un oggetto di scambio. Che il loro rapporto si riducesse a un mero baratto. Voleva che Derek vedesse oltre le sue parole, che dietro il suo rifiuto scorgesse la sua richiesta d'aiuto. Una richiesta non facile da formulare ed esprimere a parole, perché a nessuno piace dichiararsi esplicitamente vulnerabile. Derek avrebbe dovuto capirlo. Per questo implicitamente, con gli occhi pieni di lacrime e le guance paonazze, Stiles gli chiedeva di rimanere. Di non lasciarlo solo. Ma Derek non lo capì. Con una sola ampia falcata raggiunse la macchina e aprì lo sportello, senza lasciare che qualcun altro lo facesse per lui. Con una mossa aggraziata, e senza degnarlo di un solo sguardo, sprofondò nel sedile posteriore dell'auto e chiuse lo sportello con uno schiocco secco. La sua figura scomparve improvvisamente dietro il finestrino oscurato. Con lo sguardo offuscato dalle lacrime Stiles osservò l'auto dileguarsi velocemente in fondo all'isolato.
STAI LEGGENDO
Baratto - STEREK
FanfictionSterek AU. Stiles e Derek non si conosco. Il primo ha bisogno di soldi per curare il padre in coma farmacologico. Il secondo glieli offre, ma a una condizione. Il suo corpo in cambio dei soldi. Dal capitolo I: "Comunque, come le stavo dicendo, so c...