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Il venerdì di quella stessa settimana successe.

Il suo campanello suonò e lui si stupì non poco, perché non c'era nessuno che potesse venire a trovarlo. A eccezione di Melissa, ma dubitava che l'avrebbe fatto, dopo il loro incontro in ospedale non si era più parlati, si rivolgevano pigri sorrisi di cortesia o apatiche formule di rito se si incontravano nel corridoio o nel parcheggio, ma nulla di più. Era Scott il collante se che li teneva uniti, senza di lui la vita aveva fatto da solvente e li aveva divisi. Il dolore del distacco non lo aveva esasperato neanche troppo. Ciò che lo seviziava era la nostalgia che aveva di Derek.

Il campanello suonò ancora, mentre lui stava sonnecchiando pigramente sul divano. Era primo pomeriggio. Si alzò svogliatamente, raggiungendo la porta con passi strascicati.

Appena aprì la porta gli mancò il fiato. Il respiro si troncò in mezzo alla gola e i suoi polmoni si accartocciarono su loro stessi, soffrendo per la privazione. Era Ethan. Gli era mancato così tanto anche lui e ne ebbe la piena consapevolezza quando lo trovò in piedi sul suo portico. Si stupì maggiormente quando si accorse che indossava abiti civili e non aveva la sua classica divisa da agente delle CIA. Portava una Henley short grigio chiaro con i primi bottoni slacciati che lasciavano intravedere perfettamente le linee del suo torace muscoloso e un paio di jeans sdruciti.

Stiles gli rivolse uno sguardo di pigro apprezzamento, indugiando qualche secondo di troppo sull'avvallamento marcato dei suoi pettorali, e poi lo abbracciò di slancio. Gli era mancato, cazzo. Gli era mancato ciò che significava per lui. Cioè, significava Derek Super Arrapante Stronzo Hale. Gli era mancato quel tipo di vita, anche se credeva che non gli sarebbe mancata. In realtà, gli era mancata in maniera fottutamente dolorosa. 

Gli era mancato essere scarrozzato da una parte all'altra, gli sguardi complici e le battutine con Ethan che da guardia del corpo era diventato qualcosa di pallidamente simile a un amico, gli era mancato sapere che Derek lo voleva e lo desiderava e gli aveva dato una carta di credito senza limiti per non fargli mancare niente. Per renderlo felice. Per provarci, almeno. Gli mancava lo Stiles che era stato in quel periodo e di cui ora non era che lo scialbo riflesso.

Inizialmente il ragazzone si irrigidì nel suo abbraccio, tendendo tutto il suo petto in un unico fascio di muscoli, ma poi si rilassò e ricambiò la sua stretta. Stiles scoppiò in un pianto a dirotto, impiastricciando di muco e saliva la stoffa della maglia all'altezza della clavicola. Ethan lo strinse più forte, cercando di sedare i suoi singhiozzi, mentre lo sollevava da terra tanto lo stringeva forte.

"M-Mi dispiace per... per quello che ti ho detto...", squittì il ragazzino, tormentato. "Io... io ero così arrabbiato che...", uggiolò, perdendo le parole in un profondo mugolio sofferente.

"Non importa. Non mi sono offeso", lo rassicurò l'energumeno, con voce gentile. "Sono felice di vederti, anche se hai una faccia che è una merda", borbottò, contrariato, quando Stiles sollevò la testa dalla sua spalla e lo guardò negli occhi.

"Uhm beh, forse lo hai dimenticato ma questa faccia di merda è sempre stata la mia faccia", sbuffò il più piccolo, ironico e un po' stizzito, non si aspettava un tappeto di rose ma neanche di essere bellamente insultato. Anche se forse un pochino, solo un pochino, se lo era meritato.

Ethan inarcò un sopracciglio, quasi scettico, e non ribatté nulla. Fu allora che Stiles si chiese quale fosse il motivo del suo essere lì, in quel momento, sul suo portico. E dubitava che si trattasse di una semplice visita di cortesia.

L'altro sembrò fiutare i suoi dubbi e le sue incertezze, perché lo poggiò delicatamente a terra e lo scrutò con un'espressione contrita. Come se fosse già pentito di ciò che stava per fare.

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