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Continuò il suo meticoloso esame dello smoking e notò come fosse rifinito con dettagli a contrasto su revers classici: fascia laterale dei pantaloni, bottoni e tasche.
Probabilmente Derek aveva intuito le sue misure quella mattina, guardandolo seminudo nel suo ufficio, eppure la sartoria in cui era stato confezionato quel completo produceva soltanto abiti rigorosamente fatti a mano. Era decisamente impossibile che in sole poche ore un sarto fosse stato in grado di confezionare un abito simile, con una tale attenzione ai dettagli. Che Derek, allora, l'avesse fatto confezionare prima? Come se sapesse già come si sarebbero svolte le cose tra loro due... Però sembrava improbabile persino per la perspicacia di Derek. Forse un sarto non sarebbe stato in grado di produrre un vestito simile in poche ore, ma un'intera equipe sì. E scomodare un'intera squadra di sartoria per soddisfare il suo ego capriccioso era decisamente da Mr Hale.
Derek non aveva badato a spese, e ovviamente poteva permettersi di sperperare tanto denaro solo per mostrare la sua presunzione nel farlo. Il completo era corredato da una camicia bianca, extra slim fit, in cotone elasticizzato con cuciture a contrasto. Per finire, sul fondo della scatola rivestito con un morbido velluto rosso, trovò a fare da contrasto un papillon jacquard in pura seta, di un nero intenso. Accanto al papillon trovò un secondo biglietto, di un bianco candido con una scrittura stampata a macchina di un color oro brillante. Era un invito formale per un gala di beneficenza. L'invito era rivolto a Mr. Derek Hale delegato della Hale Holdings Entreprise ed era esteso ad un accompagnatore esterno, in caso avesse desiderato portarne uno. Con una sicurezza che quasi non gli apparteneva Stiles girò il biglietto, come convinto che dietro ci fosse scritto qualcosa. E per la prima volta la sua intuizione fu giusta, perché sul retro, con la classica calligrafia elegante che ormai aveva imparato a riconoscere – c'era scritto: Passo a prenderti alle 8 p.m. Anche questo secondo messaggio non era firmato.
Cosa doveva fare? Gettare lo smoking nel camino? Utilizzare l'invito per il gala di beneficenza per appiccare il fuoco nel suddetto camino? Oppure accettare la richiesta di tregua di Derek e... ricominciare...

Alle 7:30 p. m. Stiles guardò con occhi circospetti il completo adagiato sopra il suo letto. Era in mutande, con i capelli ancora umidi e sgocciolanti e con un asciugamano in mano, per frizionarli lentamente ed evitare di farli diventare elettrici. A breve avrebbe dovuto cominciare a vestirsi, se non voleva essere in ritardo. Era sicuro che Derek non lo sarebbe stato, anzi probabilmente era già parcheggiato nel suo vialetto. Ma Stiles non osò guardare fuori dalle finestre per assicurarsene, come se avesse timore ciò che avrebbe potuto vedere. Finì di tamponarsi i capelli, guardando nello specchio il riflesso del completo, ancora fermo sul suo letto. Lo guardava con insistenza e timore, come se si aspettasse che da un momento all'altro l'abito prendesse vita e si dileguasse, pur di non essere indossato dal suo corpo acerbo e spigoloso. Inoltre, indossare quell'abito significava cedere all'invito di Derek e farsi conquistare con uno smoking di almeno due mila dollari.
Prese la camicia e infilò lentamente le braccia nelle maniche, godendosi la languida sensazione del tessuto morbido e delicato contro la sua pelle. La frizione della sua carne contro il cotone lo face rabbrividire. Chiudendo gli occhi avrebbe potuto addirittura immaginare il tocco di una mano estranea... La camicia aderì bene alla forma del suo torace, Stiles la lasciò aperta per qualche secondo, ammirando il suo riflesso nello specchio. La linea dei bottoni sfiorava delicatamente uno dei suoi capezzoli, e lo faceva inturgidire a poco a poco, disseminando numerosi brividi lungo la sua pelle. Il candore del tessuto sembrava illuminare tutta la sua figura, spargendovi intorno un'aura eterea.
Chiuse i bottoni di madreperla, incespicando con le dita goffe nelle piccole asole. Era davvero un abito raffinato. Di un'eleganza che sembrava non addirsi a lui: un ragazzo squattrinato con un padre quasi morto e un migliore amico scomparso. Cercò di scacciare quei pensieri ed infilò i pantaloni strettissimi, ma non per questo scomodi. Con un fruscio leggero salirono lungo tutta la sua gamba magra ed affusolata, andando a raccogliere dolcemente lo spessore delle sue natiche sode. Come una guaina i pantaloni aderirono al suo inguine, costituendo quasi una seconda pelle. Quella sensazione gli diede l'impressone di essere nudo, nonostante fosse vestito di tutto punto sembrava non essere in grado di nascondere più nulla. L'abito valorizzava ogni singolo punto del suo corpo, mettendo in evidenza tutte le sue linee, da quelle più affilate a quelle più morbide. Abbottonò la camicia fin sotto il pomo d'Adamo e la infilò nei pantaloni, per dare maggior slancio alla propria figura e per far risaltare la raffinata bellezza del completo. A quel punto indossò anche la giacca. Ed era tutto perfetto. Lui era perfetto, con la sua faccia pulita, gli occhi brillanti e i capelli ancora umidi. Era irriconoscibile, se non fosse stato consapevole di starsi guardando dal vivo non avrebbe potuto credere che il ragazzo riflesso nello specchio fosse davvero lui: la pelle chiara, quasi come un bagliore di luna, più brillante del candore della camicia, gli arti affusolati nelle maniche della giacca dalle rifiniture brillanti. I capezzoli ancora turgidi al di sotto della camicia, che puntavano verso l'alto come dita curiose. L'unica pecca era costituta dalle scarpe. Derek non gliene aveva inviato un paio, forse per dimenticanza, forse perché aveva dato per scontato che possedesse perlomeno un paio di scarpe eleganti. Ma non era così. Lui non ne possedeva perché non gli erano mai servite, le sue uscite consistevano nel cinema con Scott il sabato sera o nel servire frappuccini il pomeriggio tre volte la settimana. Per questo dovette indossare il suo paio migliore di sneakers, quelle dalla suola non troppo consumata. Quel dettaglio sbagliato, goffo, e stonato in tutto l'insieme lo fece ritornare con i piedi per terra. Adesso si riconobbe. Quelle scarpe di tela, decisamente inadeguate per l'eleganza del completo, sembravano essere un monito che gli ricordava chi fosse realmente. Praticamente un fallito. Afferrò il papillon e lo indossò, cercando così di distrarre la sua mente da quei pensieri demistificanti. Lo sistemò bene sotto il colletto della camicia. Gli stringeva la gola al punto giusto, come a ricordargli che non era solo, che c'era sempre una presenza con lui. E quella presenza sembrava portare il nome di Derek. Qualunque parte di quell'abito Stiles guardasse vedeva solo lui, solo Mr Hale.
Pettinò i capelli all'indietro, cercando di domarli con un po' di cera, in modo da acquisire un aspetto più raffinato. Complessivamente era soddisfatto del risultato, e ne ebbe la conferma quando guardandosi nello specchio un sorriso spontaneo nacque sulle sue labbra piene. Erano mesi che non provava un motto di soddisfazione così spontanea nel guardarsi allo specchio. Per una volta i suoi occhi non erano gonfi di lacrime e le sue labbra non erano sanguinanti e gonfie da quanto le aveva tormentate con i denti, come se affliggendosi quel dolore leggero ne potesse dimenticare uno molto più pesante.
A quel punto, erano le 7:55 p. m., fece qualcosa che non osava fare da molto tempo: entrò nella stanza di suo padre. 

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