Festa della Donna ai tempi del Coronavirus, 8 marzo 2020

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Per la Festa della Donna voglio riportare un episodio di qualche anno fa.

Avevo sedici anni e nella sala comunale di Dovise era stata organizzata una competizione per celebrare la figura femminile e ricordare le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono tutt'ora oggetto in molte parti del mondo.

Così avevo potuto assistere a Luisa Becci nei panni di Marie Curie che in camice bianco scopriva il radio. Ancora è ben stampato nella mia mente il liquido in una provetta di vetro alta un metro e dal diametro di circa venti centimetri colorarsi di un azzurro malva.

Ricordo un gruppo di ragazzine delle medie, agghindate da donne d'inizio '900, sfilare fiere per tutto il palco proclamando l'importanza del voto femminile in una democrazia.

E poi Luciabetta, la sorella del Beppo, al tempo undicenne, cantare Stand by your man di Tammy Wynette, poi riproposto negli anni in altre occasioni che aveva fatto spartiacque tra una prima parte più leggera, sebbene densa di significati, a una seconda dai toni decisamente più duri.

A Luciabetta era seguito un gruppo di determinati diciannovenni che avevano rappresentato la lapidazione dell'adultera in due atti: un primo tratto tale e quale al Vangelo, con Gilberto Pani nei panni di Gesù. Un secondo, con gli stessi figuranti in abiti ben più moderni, in cui veniva ripetuta la stessa scena ma con un differente epilogo: la donna veniva ingiustamente lapidata con pietre di polistirolo accanto a un cartellone che recitava: "Quante pietre ancora? E per quanto?"

Poi era stata la volta della Penti, al tempo anche lei sedicenne, che aveva voluto impersonare il mito di Lilith.

Una leggenda narra che la prima donna nata dalla costola di Adamo fu Lilith e non Eva, e a lui fu data in sposa. Ma Lilith, piuttosto che sottomettersi ad Adamo, preferì fuggire dal Paradiso terrestre. Non avendo toccato l'Albero della Conoscenza non fu condannata alla mortalità ma per la sua disobbedienza venne trasformata in demone.

Se il messaggio del mito di Lilith fu fin troppo chiaro, la Penti, da provocatrice qual è, in quel contesto, esagerò un poco.

Si presentò sul palco insieme a Luca Revti, un ragazzo che al tempo mieteva vittime a mucchi tra le ragazze della zona, un tipo alto e belloccio insomma, il contrario di me. Indossavano entrambi una tutina aderente color carne che ne metteva fin troppo in risalto le curve. La Penti pensò bene di aggrovigliarsi tra collo e cosce anche un Boa terribilmente reale. Poteva mancare il sottoscritto?

Cero che no. Io, con sommo rispetto, impersonavo Dio.

Furono cinque minuti di una recita dura e drammatica, con la Penti che alla fine lasciava me e Luca per rivolgersi alla platea e dischiarare la paura dell'uomo nei confronti della superiorità della donna. E fin lì nulla da dire, a parte lo sbigottimento che si leggeva in platea per la tutina ultra-aderente. Ma la Penti non aveva concluso, ricordo perfettamente le parole che seguirono: ― Quando il mondo farà davvero un passo in avanti, forse il volto di Dio non sarà più di uomo o di donna, e Lilith ritornerà finalmente al suo cospetto per ricevere il giusto credito.

Non l'avesse mai detto. Partirono fischi, buu, persino parolacce. La quinta si chiuse per poi riaprirsi pochi secondi dopo con Luisella e Vania, due dell'età della Vinci, che si esibirono in un'imitazione di Sabrina Salerno e Jo Squillo, cantando Siamo donne.

La Penti non disse nulla e andò a cambiarsi, ma si vedeva che tratteneva le lacrime.

Naturalmente arrivammo ultimi. In paese girarono voci che la manifestazione sarebbe stata sospesa per gli anni a venire (e poi mai più organizzata) proprio per la nostra esibizione che qualcuno definì addirittura pornografica ed eretica.

Alla sera inforcai la mia bicicletta e feci due pedalate fino al campo del Mario Foppa. Senza farmi vedere scavalcai e raggiunsi una pianta di mimosa dalla quale strappai un rametto per poi raggiungere la villetta della Penti. Lo infilai nella casetta della posta con un biglietto: "Oggi sei stata fantastica". Quindi suonai e me ne andai. Penso che la Penti non abbia mai saputo chi, una decina di anni fa, le lasciò la mimosa nella cassetta della posta, ma la rividi il giorno dopo e sebbene non mi disse nulla, della delusione del giorno prima non c'era più traccia, gli occhi brillavano di una positiva consapevolezza.

E stasera ho fatto lo stesso. In una Dovise pressoché deserta, ho preso la mia vecchia bicicletta con le gomme un po' sgonfie. Ho pedalato fino al campo del Mario Foppa che, forse per la vecchiaia del proprietario, è ormai lasciato un po' a sé stesso. Ho scavalcato e corso fino all'albero di mimosa inseguito da un cane rabbioso e, come dieci anni fa, ho rubato tre rametti per lasciarli nelle cassette della posta delle mie amiche, Pentesilea, Nunzia e Barbara. Non saranno delle Veneri del Botticelli (il Gianni e il Marchino le chiamano le tre Gobbe) ma voglio loro davvero un bene dell'anima.

Auguri a tutte le donne!

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