Villa Suadente, Giorno 3 Parte 3

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Sono sceso nel seminterrato e ho controllato tutte le celle, una a una. La maggior parte era vuota, sia in termini di ospiti che di arredo. In altre era rimasta solo la scenografia, come quella in cui era stata riscostruita una copia incredibilmente somigliante della reception dell'hotel Flèche Rouge, l'albergo a conduzione familiare gestito da Annà e Pietro in quel di Bardonecchia. Appena ho aperto la porta mi è sembrato di tornare indietro di qualche mese. In ogni caso, dei due simpatici gestori dall'accento francese nemmeno l'ombra.

Quello che invece ho trovato nelle altre è stato agghiacciante.

Nella n°7, una stanza addobbata a festa di Carnevale, Carlo Colt, vestito da formichiere rosa, continuava a ripetere: ― È Carnevale.

In quella accanto, divisa equamente tra una zona arredata come un salotto sfarzoso e una gioielleria, la contessa-marchesa curava, se così si può dire, i suoi problemi di cleptomane. Appena mi ha visto ha accennato un saluto forzato, ha nascosto la borsetta di coccodrillo dietro la schiena in modo che non potessi vederla e si è furtivamente chinata dietro il divano per poi ricomparire qualche secondo dopo senza.

Quella di Venusia, alias Lucia Baraccone, era un salotto triste triste. Lei girava intorno a un divano con sguardo vacuo mentre la tv era accesa su una soap opera. Nella n° 15, quella del santone, luci psichedeliche turbinavano su tendaggi di seta nera con una musica tribale in sottofondo. Di Don Luis nessuna traccia. L'ho trovato insieme all'ispettore Biacco in quella a fianco, completamente subissata da una quantità infinita di scarti di ossa di coniglio. Avrei voluto vomitare. C'era un puzzo di rancido insopportabile. Entrambi erano intenti a studiare le spoglie delle lepri posizionate sul pavimento in modo da formare uno strano disegno. Ho chiuso e mi sono spostato nella successiva, la 29, dove in mezzo a cumuli di cibo in putrefazione c'era il cadavere di Piermario, il povero figliolo della signora Dovis. Ho trattenuto a fatica un conato di vomito. Con una mano sulla bocca mi sono spostato in quella a lato, l'ultima del corridoio.

Era uno studio medico arredato in modo piuttosto spartano. Ricordava per certi versi quello del dottor Galletta. C'erano molti libri, un lettino e medicinali vari. Al centro della scrivania, un paio di confezioni del Goloso, il farmaco contro l'obesità infantile, e un flacone sulla cui etichetta era stampato Alcarol-Primon32. Su una gruccia appesa a una parete pendeva un camice butterato di sangue la cui targhetta riportava: dottoressa Giulia Bonomelli.

Ho aperto uno dopo l'altro i cassetti della scrivania. In quello più in basso c'era un cospicuo e alquanto pesante fascicolo con il mio nome. All'interno decine e decine di fogli con appunti delle mie sedute del sabato pomeriggio presso lo studio della dottoressa Giulia e numerose schede anagrafiche di conoscenti e amici con riferimenti al blog. Alcune più complete, come quelle della signora Perniciotti, del dottor Galletta, di Vanessa Love, della Penti o degli altri amici della compagnia. Altre riportavano poco più di qualche nome come quella riferita a Giselle o ai due terroristi sepolti sotto metri di neve.

Sono tornato al piano di sopra. Lo studio di Vittoria era vuoto ma il pc accesso. L'icona in basso sulla destra vicino all'orologio indicava che non c'era collegamento internet.

― Vittoria ― ho chiamato. Naturalmente nessuna risposta.

Sono uscito in piscina, convinto di trovarla lì.Invece nulla, però, in lontananza, tra gli alberi del bosco, si era levato de lfumo nero. Mi sono messo a correre in quella direzione e ho raggiunto la zona in poco più di dieci minuti. In una fossa larga una decina di metri e piuttosto profonda qualcuno aveva dato fuoco alle spoglie di Laura e Alberto. L'odore dicarne bruciata era violento e stordente. Mi sono guardato intorno alla ricerca di un seppur minimo movimento. Avevo la sensazione di essere osservato, ma non c'era nessuno in giro. Poi qualcuno mi deve aver colpito alla testa, di nuovo.

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