Radio19, 12 marzo 2020

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L'iniziativa di Don Fernando ha preso piede alla grande.

Sto parlando della radio, ribattezzata negli ultimi due giorni dal nostro benamato parroco Radio19 proprio per esorcizzare fantasmi e paure del Coronavirus.

Alla mattina, alle nove in punto, celebra la messa con tanto di canti liturgici invitando i fedeli a fare la comunione a casa con un tozzo di pane e un dito di vino. Per la mamma è un appuntamento fisso e ieri ha addirittura stappato un bianco di Montepulciano dell'85 che custodiva come una reliquia e che probabilmente mai avrebbe consumato.

Terminata la Santa Messa, segue un'ora di preghiera al termine della quale il nostro buon parroco esterna con la sua consueta concitazione qualche considerazione personale. In questi giorni faccio orario continuato ma mi vedo già la mamma ascoltare, borbottare e annuire con la testa a ogni sua parola.

Alle undici Don Fernando manda in onda quelle che chiama I Radiopiatti, ricette inoltrate dai miei compaesani come file audio attraverso mail o vocali. Pausa fino alle venti. Poi il classico quiz con telefonata e ricchi premi, anche se con internet è facile barare. Però le domande sono tutt'altro che semplici e scontate soprattutto quelle che ricordano fatti avvenuti in paese e restati nella memoria di vecchi e giovani che strappano facilmente qualche sorriso. Questo per circa un'ora. Poi lettura e trasmissione di file audio con auguri e dediche. Quindi una benedizione prima di salutare e spedire tutti a letto.

A dispetto degli ultimi ritrovati tecnologici che ci tengono connessi l'un l'altro ventiquattr'ore su ventiquattro ma che di umano hanno così poco, la radio trasmette un calore e una sensazione di vicinanza ineguagliabili. Sentire in momenti tormentati quali sono quelli che stiamo vivendo una voce amica che ti parla, ti incoraggia, ti spiega e ti culla, talvolta anche con toni tutt'altro che pacati, è di grande conforto.

Stasera sono rimasto ad ascoltarla con mamma fino alle ventidue e trenta, termine delle trasmissioni. È stato bello. Ci sono persino venuti i lacrimoni quando don Fernando ha chiesto come si era travestito a Carnevale l'anno in cui era arrivato a Dovise, ben quindici anni fa. Nessuno ha indovinato. Però tra le varie telefonate Camillo Luci, che al tempo aveva quindici anni, ha raccontato che forse proprio in quel Carnevale aveva sparso ovunque nell'oratorio cacca di coniglio che, per chi non lo sa, è simile a pallini di piombo e di conseguenza infida a tal punto da non riuscire a evitarla. Don Fernando gli ha mandato una benedizione ma si è fatto anche promettere un coniglio nostrano da consumare nel pranzo di Pasqua e una bottiglia di grappa.

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