17. Mattinata Evitabile

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Il fine settimana si dissolve rapidamente, portando con sé una miscela di tensione e ansia mentre mi preparo per affrontare un'altra settimana alla scuola. "Vittorio, potresti far salire anche Luca oggi?" chiede mio papà ,"Certamente, nessun problema," risponde lui con un sorriso gentile. Non pare abbia avuto problemi con lui, a differenza mia.

Mentre ci avviciniamo alla porta di casa, vedo Luca che ci aspetta sulla soglia con uno zaino in spalla. Il suo sorriso luminoso mi riempie di conforto. Entriamo nella macchina insieme, e per un istante, nel fragore del motore che si accende, mi sento meno sola. "Come va la scuola?" chiedo a Luca, cercando di distogliere la mia mente dai pensieri turbolenti.

"Va bene," risponde lui con un sorriso, "Sto lavorando su un progetto di storia, molto noioso deve dire."

"Lo capisco," rispondo a Luca con un sospiro. "Anche io sto avendo qualche difficoltà con alcune materie."

Vittorio, che ascolta in silenzio, scuote leggermente la testa. "È importante impegnarsi di più," dice con un tono severo. "Il successo richiede impegno costante e dedizione."

"Perchè non ti fai i fatti tuoi? Forse io e mio fratello mettiamo impegno costante e dedizione in altro" affermo cercando di difendere non solo me ma anche Luca. "In cosa? Videogiochi e arte della seduzione?" chiede ironico.

La mia spina dorsale si irrigidisce mentre le sue parole mi trapassano come lame affilate. Guardo fisso fuori dal finestrino, cercando di trattenere le lacrime di rabbia e frustrazione. "Non è così," ribatto con voce tremante. "Luca si impegna davvero, e io... anche io sto cercando di fare del mio meglio."

"Ma dovresti fare di più," insiste Vittorio, il tono della sua voce diventando sempre più tagliente. "Non puoi permetterti di restare indietro."

Mi mordo il labbro inferiore, cercando di trattenere il flusso di emozioni che mi travolge. Luca guarda in silenzio, evidentemente a disagio con la situazione. Vorrei che Vittorio smettesse di fare commenti così sprezzanti, ma so che è inutile cercare di cambiarlo.

La tensione nella macchina è palpabile mentre continuiamo il nostro tragitto verso la scuola, ognuno immerso nei propri pensieri e preoccupazioni.

Dopo aver lasciato Luca a scuola, il silenzio nella macchina diventa ancora più opprimente. Il ticchettio del cronometro segna il passaggio del tempo, mentre ci dirigiamo verso casa. Non appena siamo soli in macchina, Vittorio si rivolge a me con un'espressione seria. "Non puoi continuare così, Elisa," dice con un tono che sa di condanna. "Devi impegnarti di più a scuola. Non puoi permetterti di deludere te stessa e la tua famiglia."

Mi sento una fitta al petto mentre le sue parole mi colpiscono come pugnali. La rabbia sale dentro di me, alimentata dalla frustrazione di non sentirsi mai abbastanza. "E tu cosa ne sai?" ribatto con voce tremante. "Non capisci niente di me o della mia vita."

"Sicuramente se continui così riuscirai a fare solo la puttana" afferma con disprezzo "Magari ti do qualche contatto".

Le sue parole mi colpiscono come un pugno nello stomaco, e il mio volto si contorce dall'indignazione. "Come osi?" sibilo, la voce carica di rabbia e disgusto. "Non hai alcun diritto di parlarmi così. Non sei nessuno per giudicarmi."

Vittorio non sembra minimamente scosso dalla mia reazione. Al contrario, un ghigno sprezzante si dipinge sul suo volto. "Non fare l'ipocrita, Elisa," ribatte con freddezza. La mia rabbia si trasforma in disperazione, sento le lacrime bruciarmi agli occhi mentre cerco di trattenere un urlo di frustrazione.

Arriviamo finalmente a scuola, ma l'atmosfera nella macchina è diventata pesante e tossica. Appena arriviamo, le mie amiche si affrettano a circondare Vittorio, ignorando completamente la mia presenza. Vedo sorrisi costruiti, occhiate maliziose e movenze studiate per attirare la sua attenzione. La vista mi fa stringere il cuore in un misto di dolore e rabbia. Come possono essere così superficiali? Come possono ignorare la mia sofferenza in questo modo?

Mentre si scambiano battute frivole con Vittorio, le loro risate riempiono l'aria intorno a me, taglienti come lame. La mia rabbia aumenta, alimentata dalla sensazione di essere tradita da coloro che avrei dovuto considerare amiche.

"Vaffanculo," sibilo tra i denti, la voce carica di rabbia e delusione mentre mi allontano da loro con passo deciso, cercando di nascondere il dolore che mi lacera dentro.

La lezione inizia con la professoressa di chimica, la signora Troiani, che entra in classe con fare austero. "Buongiorno ragazzi," annuncia con voce tagliente, scrutando attentamente l'aula con il suo sguardo penetrante. La tensione nell'aria è palpabile, e io mi sento come se fossi sul punto di esplodere.

"Oggi consegnerò i compiti che avete fatto la settimana scorsa," annuncia la professoressa mentre distribuisce foglietti di carta sui banchi. Prendo il mio foglio con le mani che tremano leggermente, sentendo il battito frenetico del mio cuore.

Guardo il foglio con apprensione, temendo il peggio. Quando finalmente riesco a concentrarmi abbastanza per leggere il mio voto, il mio stomaco si stringe in un nodo. Un misero 2.5 campeggia sul foglio bianco come una sentenza di condanna.

"Vaffanculo," sussurro tra me e me, sentendo le lacrime minacciare di sgorgare nuovamente. "Hai qualcosa da ridire Elisa?" mi chiede la professoressa. La professoressa mi guarda con sguardo severo, aspettando una risposta. Stringo il foglio tra le mani, cercando di controllare la mia rabbia e la mia delusione. "No, nulla," rispondo con voce ferma, anche se il mio tono tradisce una punta di amarezza.

La professoressa annuisce brevemente e si volta verso la lavagna per iniziare la lezione. Mi affanno a trattenere le lacrime, sentendo il peso del mio fallimento pesare sulle mie spalle come un macigno. La lezione scorre lenta, mentre cerco disperatamente di concentrarmi.

Dopo l'ora di chimica, esco dall'aula con passo pesante, cercando di nascondere il mio volto arrossato e le lacrime appena trattenute. Mi chiudo in bagno accendendo la sigaretta lasciando che il fumo avvolga il mio viso. Sento il calore della nicotina riscaldare la mia gola, portando un breve momento di conforto. Le lacrime bagnano le mie guance mentre mi siedo sul bordo del lavandino, cercando di placare la tempesta di emozioni che mi travolge.

Il mio respiro è affannoso, come se l'aria stessa fosse diventata troppo densa da respirare. Poco a poco, il fumo della sigaretta si disperde nell'aria, portando con sé un senso di calma fugace.

La campanella finale della scuola squilla, segnando la fine di un'altra giornata tormentata. Mi alzo dal mio posto, cercando di nascondere la mia agitazione dietro una maschera di indifferenza. Raccolgo i miei libri con gesti automatizzati, cercando di ignorare gli sguardi curiosi dei miei compagni di classe.

"Pronta per tornare a casa?" chiede Vittorio, avvicinandosi con un sorriso finto. La sua presenza mi fa rabbrividire, ma annuisco con un gesto meccanico, non avendo voglia di affrontare una discussione inutile.

"Sei sicura?" insiste, notando il mio silenzio. "Posso aspettare se vuoi parlare di qualcosa."

"No, è tutto a posto," rispondo con voce flebile, cercando di evitare il suo sguardo. Mi sento vulnerabile e esposta in sua presenza, come se potesse leggere ogni pensiero nella mia mente.

Saliamo in macchina in un silenzio imbarazzante, interrotto solo dal ronzio del motore mentre ci dirigiamo verso casa. Il viaggio sembra durare un'eternità, e non vedo l'ora di essere finalmente lontana da lui e da tutto il caos che porta con sé.

Arriviamo a casa, e mentre mi dirigo verso la porta d'ingresso, mi sento come se stessi camminando verso una prigione. La mia gabbia dorata, dove ogni passo mi allontana sempre di più dalla libertà che desidero disperatamente.

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