Capitolo 13 - Mostro

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Fissai. Guardai. L'orrore di mia madre.
Su di me posò la maschera più infame.

{Erik - Il Fantasma dell'Opera}


Elric

Ho suonato per lei.

L'ho sfiorata e avrei potuto averla. Fermarmi è stato quanto di più complicato abbia mai fatto in vita mia, sarebbe stato così facile avvicinare le labbra alle sue, percepirne la consistenza, piegarla sul pianoforte e passare le mie mani ovunque sul suo corpo.

Chiudo gli occhi per un istante immaginando la sua pelle candida sotto i miei guanti, la contrapposizione tra il nero e il bianco mi manderebbe fuori di testa.

«Sei sicuro di quello che stai facendo?»

Mi giro di scatto verso quella voce. Persephone mi sta osservando con occhi serrati, le labbra strette in una linea dura. Se fosse stata qualsiasi altra persona a rivolgermi la parola non l'avrei neppure degnata di una risposta, ma con lei devo.

«Perché non dovrei esserlo?» domando mentre scendo le scale che portano nei sotterranei del teatro, lei mi segue a ruota, sento le suole delle sue scarpe calpestare gli scalini.

«È giovane, appena entrata all'Opéra, avevi detto che l'avresti lasciata ambientare.»

Raggiungo la porta e cerco la chiave legata al mio collo, la infilo nella toppa e la apro.

«Lo sto facendo, non ho posato un dito su di lei.»

Accendo le luci del sotterraneo, aspetto che anche lei entri e poi chiudo a chiave la porta dietro di noi. Inspiro a fondo l'odore delle vernici, del legno e degli strumenti musicali.

Nonostante abbia una mia stanza, il sotterraneo rimane il mio posto preferito, è qui che compongo la mia musica, che scrivo le mie lettere e butto giù il programma annuale dell'Opéra. L'ho arredato a mio gusto, è un ampissimo open space senza finestre, c'è un grande lampadario che scende dal soffitto e i muri sono pieni di candele, mi piace scrivere ed esercitarmi quando sono completamente al buio, con la soffusa luce delle candele.

«Ma hai posato gli occhi, Elric, quindi non prendermi in giro.»

Sospiro e mi giro verso di lei, ha le braccia incrociate al petto e quell'espressione corrucciata non l'abbandona mai. Le ho sempre detto che dovrebbe divertirsi di più, ma per lei la cosa più divertente possibile è lavorare a maglia.

«Non pensavo che anche quello fosse un crimine» dico sgranando gli occhi. Mi rivolge uno sguardo feroce.

«Stai sbagliando.»

Faccio una breve risatina perché mi sto davvero infastidendo con questo discorso. Soltanto perché le concedo di darmi dei consigli, non può pensare che sia tollerabile parlarmi in questo modo.

«A me pare che sia tu quella che mi sta prendendo in giro. Abbiamo un accordo e finché non metto le mani su di lei, lo sto rispettando, quindi rimani al tuo posto.»

Mi sfibbio dal collo il mantello, lo faccio cadere per terra, poi sbottono i polsini della camicia.

«Elric, sai che sono dalla tua parte, ma sta succedendo di nuovo. La stai ammaliando.»

Faccio un sorrisetto. «Non è colpa mia se sono affascinante.»

Lo sguardo di Persephone segue i miei movimenti, ha visto più pelle di molti altri, ma nemmeno lei ha le mie mani senza guanti e non succederà.

Percorre la distanza che ci divide e si ferma davanti a me.

«Stai rischiando la reputazione con il consiglio per questa... ragazzina. Non devo ricordarti che ciò che è successo quattro anni fa non può ripetersi, vero?»

Ha gli occhi spalancati e la furia è evidente dal modo in cui il suo corpo trema leggermente. Ma non è nemmeno un pizzico di quella che provo io in questo momento alle sue parole. Stringo forte la mascella e inspiro profondamente per calmarmi, mi allontano di scatto da lei. Potrei tranquillamente stringere le mani attorno al suo collo e soffocarla in questo momento.

«Vattene di qui.»

Affondo le unghie nei palmi per cercare di calmarmi.

«Elric... non dovevo... io...»

«Esci da questo fottuto sotterraneo adesso se non vuoi farlo in un sacco della spazzatura tra dieci minuti!» sbraito senza neppure girarmi, indico con il dito la porta. Trasalisce, ma non le sto più prestando attenzione. Mi passo le dita sulle tempie e aspetto che la porta del sotterraneo si apra e si richiuda, quando sento lo scatto mi allontano verso il fondo dell'openspace e vado verso lo specchio centrale. Mi tolgo la maschera di scatto e guardo il mio volto deforme. Quell'orrore è l'unica cosa in grado di calmarmi quando sono così agitato.

Quattro anni fa è stato proprio questo viso la causa dei miei problemi, ogni giorno cerco di dimenticare cos'ha causato e tutte le volte che qualcuno me lo fa ritornare in mente sento un'altra parte della mia umanità che sparisce risucchiata dalle cicatrici.

Passo le dita sulle cicatrici sotto l'occhio, sul gonfiore perpetuo della tempia.

«Non è un vero viso.»

Solo tre persone mi hanno visto senza maschera e sono tutte morte, ma prima di morire quelle sono state le loro ultime parole.

Quelle poche lettere mi ricordano che non ho alcun diritto di provare sentimenti che siano di rabbia, felicità o disprezzo. I mostri non possono.

Mi rimetto la maschera sul volto e la sistemo dietro la testa. Chiudo gli occhi e con ogni briciolo di forza che ho in corpo do un forte pugno contro lo specchio. Si frantuma in un milione di schegge, finiscono sui guanti, per terra e in parte sul mio viso.

Quella che mi colpisce lo zigomo fa cadere delle gocce di sangue sulla mia pelle, la consapevolezza che il sangue scorre mi ricorda che sono vivo. Con ogni mia oscenità, cicatrice e malformazione.

Riparo gli occhi e guardo la parte del mio volto perfetta. Non farò gli stessi errori di quattro anni fa. Nessuno vedrà mai più il mio volto, la gente non è in grado di reggere l'orrore di quest'aspetto.



Dietro la mascheraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora