Capitolo 53 - La prigione

228 39 2
                                    

Se non sai cosa mi gettò nell'angoscia sempre più.
Non guardare dentro me,
guarda il volto della mia deformità.

{Il Fantasma dell'Opera}

Cress

La prigione.

Non ero mai entrata all'interno. Non avevo idea di cosa aspettarmi una volta varcata la soglia. A riguardo avevo visto soltanto delle serie tv che di certo non rispecchiavano la realtà. O almeno me lo auguravo.

Osservo l'imponente edificio che si erge davanti a me. È grigio e anonimo. La porta è aperta e fuori ci sono due guardie con i fucili. Mi mordo l'interno della guancia. Mi sento a disagio, questi posti non mi sono mai piaciuti.

«Salve. Sono una familiare, dove si tengono gli incontri?» domando, spero che la mia voce non tremi. Non voglio mostrarmi debole di fronte a queste persone. Fisso il fucile. Se uno di loro impazzisse e iniziasse a sparare con quello potrebbe uccidere tutti i prigionieri.

«Entri e prosegua fino al prossimo corridoio. Una guardia la porterà nella sala.»

Distolgo lo sguardo dal fucile e abbandono le mie fantasie malsane. Se fanno questo lavoro, in teoria, dovrebbero essere delle persone con la testa sulle spalle.

Li supero ed entro all'interno della prima sala. Al centro c'è un banco di accettazione, un cubicolo, con nessuno all'interno. Alla mia sinistra poche sedie disposte in due file e alla destra un distributore di bibite. Tutto sembra essere pensato per essere scomodo. Per mettere a disagio i visitatori. Mi strofino il braccio con la mano mentre proseguo. Lancio un'occhiata nel cubicolo, che senso ha avere un'accettazione se rimane vuota?

Raggiungo la fine del corridoio. Come annunciato c'è una guardia. Alla cintura ha le manette e la foderina della pistola, con quel pezzo di metallo che sbuca fuori.

«Salve. Sono qui per l'orario di visite.»

Abbassa lo sguardo su di me. Arriccia le labbra in modo disgustato. Alzo un sopracciglio. Chi diavolo si crede di essere per guardarmi in questo modo?

«Nome?»

«Cress Kelly.»

Si allontana. Va a controllare un elenco appeso al muro, il suo dito prosegue lungo i nomi e il sudore inizia a colarmi lungo la schiena. Questo posto è un incubo. Devo tirare fuori da qui Elric il prima possibile.

«Il suo nome è sull'elenco. Faccio chiamare Walker.»

Prende una specie di walkie-talkie. «È arrivato qualcuno per il mostro» bisbiglia. Apre la porta della saletta per farmi entrare. Ma io sono rimasta bloccata a quell'appellativo.

Ha davvero avuto il coraggio di chiamare un detenuto "mostro"?

«Forse ha sbagliato. Si chiama Elric. Non mostro» gli dico con un sorrisetto adorabile e assolutamente falso.

Incurva le labbra in un sorriso. «Forse non si chiama così, ma è quello che è. Sei sua sorella?»

Stringo la mascella. «No. Sono la sua ragazza. E qui l'unico mostro che vedo ha una pistola e delle manette» sputo fuori, lanciandogli una lunga occhiata di biasimo. Non aspetto la sua risposta, entro nella stanzetta e mi chiudo la porta alle spalle.

Il posto che mi accoglie è ancora più tetro rispetto al resto della prigione. Le pareti sono del tutto bianche e le finestre filtrano a malapena la luce. Ci sono dei tavolini disposti in ordine casuale per la sala. Alcuni detenuti sono seduti a parlare con i familiari. Indossano tutti le manette e la maggior parte sembra rilassata. In fondo, vicino al muro, ci sono quattro guardie con i fucili in mano. Pronte ad intervenire in caso ci siano dei problemi. È strano. Mi fanno più paura loro dei detenuti seduti sui tavolini.

Dietro la mascheraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora