Capitolo 55 - I detenuti

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Compassionevole creatura dell'oscurità...
Che tipo di vita hai mai conosciuto...?

{Il Fantasma dell'Opera}

Elric

La prigione non fa proprio per me.

Mi hanno fornito carta e matita e lasciato all'interno di quella minuscola stanza. È divisa in due. Una parte per fare i bisogni, un lavandino, dall'altra una branda e un piccolo specchio di plastica che guardo il meno possibile. L'unica nota positiva è che non la divido con nessuno. Lo squallore che si respira tra quelle mura mi pizzica il naso da quando sono qui. Il tanfo di sudore e di chiuso mi nausea. Molti dei carcerati non hanno alcuna cura dell'igiene.

In mensa ci forniscono del cibo scadente, questa sera hanno preparato una qualche specie di purè liquido accompagnato da del pollo appena scongelato. Con il mio vassoio tra le mani vado a sedermi in uno dei tavoli vuoti.

La cosa più difficile di stare qui dentro è non avere le mie protezioni. Mi sento nudo anche se indosso i vestiti. Il desiderio di riavere indietro la mia maschera mi divora.

Pilucco il pollo con la forchetta. È così duro che nemmeno si riesce a tagliare.

«Cosa c'è mostro? Il nostro cibo non è abbastanza buono per te?» domanda una voce tonante dietro di me.

Lo ignoro. Afferro il cucchiaio e provo con il purè. L'amaro me lo fa quasi sputare.

«Mi hai sentito? Ohh!» urla lo stupido, mi prende le spalle e le scuote. La rabbia mi incendia. Mi giro di scatto e lo fisso. È grosso, alto quanto me, la barba lunga e i capelli rasati. Ride con i suoi compari. Sono in tre dietro di me.

«Scusa, hai detto qualcosa? Non sono solito ascoltare i figli di puttana.»

Il sorriso abbandona il suo volto. Si fa avanti in modo minaccioso. Mi alzo in piedi e gli vado incontro.

«Tua madre è una troia di sicuro. Deve aver scopato con Frankenstein per far uscire un simile scempio.»

Una martellata nelle dita farebbe meno male.

Ma a me non importa di quello che pensa la gente.

Non importa di quello che dicono.

Rimango calmo, afferro un fazzolettino e mi tampono gli angoli della bocca.

«Sei a conoscenza che Frankenstein era lo scienziato e non il mostro, giusto? Ma cosa chiedo a fare? Probabilmente non sei arrivato nemmeno alla terza elementare.»

I suoi due amici si mettono a ridere alla mia battuta. I miei occhi non lasciano scampo all'uomo. Non ha la più pallida idea della persona con cui sta parlando.

«Ti chiami Martin, vero? Sei finito in prigione perché hai accoltellato un ragazzo.»

Sgrana gli occhi. «Come cazzo lo sai?» ringhia.

«Sai qual è il tuo problema, Martin? Non sei stato in grado di finire il lavoro. È per questo che ti hanno preso. Quindi ora te ne stai qui in piedi a sbeffeggiarmi senza avere il coraggio di colpirmi davvero» concludo incurvando le labbra in un sorriso. Il suo viso diventa di un colore rosso acceso.

«Bestia! Come ti permetti di parlarmi così? Non dovresti nemmeno esistere» grida digrignando i denti.

Sospiro. È così stancante avere a che fare con questa gente. Si credono i padroni del mondo soltanto perché non hanno mai avuto a che fare con un viso e un corpo deforme. Ma la mia tempra è molto più forte di quanto immaginino. Potrei metterli tutti sotto scacco con poche parole. Non mi servirebbe nemmeno la forza.

«Mia madre la pensava come te. Ma purtroppo per entrambi, sono ancora vivo.»

Gli do le spalle e ritorno a sedermi sulla sedia, inizio a contare.

Uno.

Mi dà uno spintone.

Due.

Spinge con forza la sedia per farmi cadere.

Tre.

Prova a colpirmi in faccia.

Così prevedibile. Mi sposto a sinistra evitando il suo pugno. Questo lo fa soltanto arrabbiare di più. Mi si getta addosso e ci fa capitolare per terra. È il doppio di me come stazza, ma è lento. Più sono grossi più sono stupidi.

Mi colpisce la faccia con un pugno. Sento un crack provenire dal naso. Il sangue iniziare a colare.

Non mi muovo.

Ho bisogno di questo dolore.

Mi lecco il sangue dalle labbra. Carica il pugno, ma stavolta lo schivo. Mi metto a ridere per la sua faccia contratta dalla rabbia.

Due guardie si muovono verso di noi, lo afferrano e lo tirano via da me. Mi passo il dorso della mano sul naso per togliere il sangue.

«Sei un mostro deforme! Sparati e fai un favore al mondo» urla mentre viene portato via.

Un click.

Basterebbe un click per mettere fine alla mia vita. Non posso dire di non averci mai pensato. Fino all'incontro con Miss Morgan ho provato diverse volte a togliermi la vita. Ero un ragazzino solo, senza prospettive future e con un corpo violato.

Non conoscevo ancora la musica, il teatro.

Non conoscevo ancora Cress.

Alzo le braccia davanti agli occhi. Sui polsi, ci sono ancora le cicatrici del mio primo tentativo. Avevo undici anni quando ho provato a tagliarmi le vene.

«Andiamo, torna dietro le sbarre anche tu» sbraita la guardia colpendomi con la canna del fucile sulla spalla.

Tiro su con il naso. Mi giro e faccio strada verso la mia stupida gabbia.

C'è della poesia in tutto questo.

Miss Morgan mi ha tirato fuori dalla mia gabbia a quindici anni e circa dieci anni dopo ci sono di nuovo dentro. Ma non sono la stessa persona. Quel ragazzino perso ha lasciato spazio a un uomo con ideali e ambizioni. La cosa che ancora li accomuna è la sete di vendetta.

Entro dentro e lascio che chiudano alle mie spalle. Vado a sedermi sulla brandina. Passo il dito sulla cicatrice del polso destro. Non sono andato abbastanza in profondità con quella lametta. Mi tremavano le mani mentre la impugnavo. Le lacrime scivolavano sul mio viso senza sosta. Ci ho provato. Ho provato davvero ad abbandonare questo mondo ma nemmeno il diavolo ne ha voluto sapere di me.

Oggi, sono grato di non esserci riuscito.

Se lo avessi fatto non avrei mai conosciuto la mia piccola musa.

Per Cress vale la pena affrontare gli insulti, le risse, le minacce. Per lei affronterei anche le fiamme dell'inferno.

Dietro la mascheraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora