Capitolo 51 - Senza corazza

151 29 8
                                    

Come un brutto sogno
ho atterrito gli occhi tuoi.

{Erik - Il Fantasma dell'Opera}

Elric 

Nella vita avevo commesso molti crimini. Sapevo che prima o poi sarei finito in prigione. Le forze dell'ordine non avrebbero compreso la mia sete di vendetta. L'omicidio per giusta causa non esisteva. E accettavo quella sentenza.

Ma mai avrei pensato che ci sarei finito per qualcosa che non avevo fatto.

Nessuno dei miei crimini era stato scoperto. Ero sempre stato meticoloso e Miss Morgan mi aveva aiutato a cancellare le tracce. Ogni uomo che mi aveva messo le mani addosso fin da bambino aveva pagato per quello che mi aveva fatto.

Tranne uno.

La stessa persona che mi aveva incastrato in questo buco di prigione.

Ero stato fin troppo magnanimo con lui. Essendo uno dei tre soci dell'Opéra non potevo attaccarlo e lui non poteva attaccare me se non voleva trovarsi una denuncia. Quindi è riuscito a trovare un altro escamotage per incriminarmi.

Quello che non sa è che aspetto questo momento da anni. Mi sono preparato a reagire al fuoco quando lui avrebbe sparato. Avrei voluto farlo in prima persona ma non mi è permesso. Devo lasciare tutto nelle mani di Miss Morgan e sperare che Cress si ravveda e l'aiuti.

Si, lei mi ha ferito. Le sue accuse sono state un pugno nello stomaco. Però anche lei era stata plagiata proprio com'era successo con me. Ho sempre provato rancore e la mia sete di vendetta non mi abbandona mai ma... con lei è diverso. Con lei non provo sentimenti negativi. Nessuna rabbia o odio. Solo quella sensazione di paura dell'abbandono che mi perseguita.

«Siamo arrivati» sbraita un poliziotto.

Abbiamo superato i cancelli di una piccola prigione di Moonville una ventina di minuti fa dentro una macchina della polizia. Mi hanno fatto camminare per dieci minuti fino a raggiungere un palazzo.

Adesso mi spingono all'interno di una sala. Li seguo. Le manette che sferragliano l'una contro l'altra mentre cammino. È degradante per uno come me trovarsi in questa situazione. Ma di degrado nella mia infanzia ne ho vissuto molto. Non sarà questo a spezzarmi.

«Hai cinque minuti per spogliarti. Lascia tutti i tuoi vestiti nello spogliatoio. Indossa questi.»

Mi porgono una maglietta e un pantalone bianco e nero. Li guardo con disgusto. Ha senso lamentarsi per quello che indosserò? Probabilmente no. Ricaccio la lamentela in gola.

Vado dritto verso lo spogliatoio. La porta non si può chiudere a chiave. La lascio socchiusa e prendo un respiro profondo.

Un carcere non sarà certo peggiore degli scantinati in cui sono stato. Il problema non è la cella. Ma separarmi dal mio travestimento.

Non ci sono specchi, per fortuna.

Mi strofino una parte del viso con la mano e stringo forte gli occhi. Devo fare questa cosa. Sarà solo per poco.

Mi sfilo gli stivali. Abbasso i pantaloni e li sostituisco con quelli che mi hanno dato. Quanto meno sono lunghi. Non dovrò mostrare ciò che celo al di sotto. Sbottono la camicia e prendo la maglietta che mi hanno dato.

Maniche corte.

Le mie orecchie iniziano a fischiare. Una maglietta del genere significherà mostrare le braccia e le mani. Affondo le unghie nel tessuto desiderando lacerarlo. Cerco di darmi un contegno. Se chiedessi al poliziotto una maglietta diversa mi renderei solo ridicolo. La mia dignità è qualcosa di inviolabile. Non ho alcuna intenzione di farla calpestare.

Sarà solo per poco tempo.

Me lo ripeto come un mantra mentre indosso la maglietta. Lo sguardo scivola sul braccio sinistro.

La metà ricostruita è viola chiaro. Le cicatrici sono tutte ben visibili. Un marchio impossibile da cancellare. Una mappa di tutte le violenze che ho vissuto. Alcune gonfie, altre delle semplici linee sottili.

Cerco di guardarmi poco allo specchio e quando lo faccio non mi soffermo mai sul mio aspetto. Ripercorro con il dito le ferite ormai chiuse. Tolgo un guanto alla volta, per abituarmi alla sensazione di non averli.

Non ho più niente di mio, a parte la maschera.

Mi sento nudo e inerme come lo ero dieci anni fa.

Il tormento interiore non mi lascia tregua.

A testa alta esco dallo spogliatoio. Il poliziotto trasalisce appena mi vede.

«Cristo santo!» esclama portandosi una mano tra i capelli.

Quell'espressione. Quel turbamento. L'ho visto negli occhi di tutte le persone che mi hanno guardato senza vestiti.

«Fa proprio schifo» continua. Stringo la mascella.

«Ti pagano per dire ovvietà?» chiedo senza mostrare alcun turbamento. Mi lancia un'occhiataccia e la sua espressione torna neutra.

«Via anche la maschera.»

Il terrore mi congela sul posto. «No.»

Il poliziotto si fa avanti. Il manganello stretto in mano.

«Non ho intenzione di ripeterlo. Via. La. Maschera.»

Stringo le labbra. «Ho detto di no. Non toglierò questa fottuta maschera!»

Il ricordo di quello che ha prodotto il mio viso senza maschera mi fa venire il voltastomaco. Ciò che è accaduto cinque anni fa potrebbe ripetersi ancora se non me la lasceranno tenere.

Il poliziotto mi guarda furioso e si avventa contro di me afferrandola.

Penso di dargli un calcio negli stinchi.

Penso di morderlo sulla guancia fino a farlo urlare.

Penso di stringergli le manette attorno al collo fino a che non smette di respirare.

Ma non faccio niente di quello che penso. Non posso aggiungere alle mie sfilze di accuse un'aggressione a pubblico ufficiale, o non uscirò davvero da questa prigione.

Mi porto una mano sul lato scoperto, ma ormai è troppo tardi.

«Mi viene da vomitare. Quello non è un viso» mormora l'uomo, indietreggiando, con ancora la mia maschera tra le mani.

Forse alla fine mia madre ha sempre avuto ragione. Morire bruciato vivo appena nato sarebbe stato meno doloroso di questa vita.


Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: a day ago ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Dietro la mascheraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora