Capitolo trentotto - Come una nave in un oceano in burrasca

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"Non posso credere che mi hai convinto a venire con te."

Louis si sistemò meglio lo zaino sulle spalle. Era partito con poco: qualche boxer, qualche maglietta, forse una tuta. Harry era lì accanto a lui nella stessa posizione: uno zaino in spalla e il cellulare in mano.

"So essere persuasivo." Gli sorrise.

Louis si ostinò a non lasciarsi andare, non troppo. Doveva ancora essere arrabbiato con lui. -"Giusto perché ero ubriaco."

Era sera, il cielo era in quel precario momento tra tramonto e notte: di un blu scuro ma non ancora profondo. Non faceva freddo, ma per qualche ragione Louis non vedeva l'ora di entrare in casa. Erano arrivati in Minnesota con qualche ora di treno, poi avevano preso un taxi ed ora si trovavano davanti a quella che era certo fosse casa del ragazzo. Era un'anonima villetta posta tra altre due identiche, una semplice casa a schiera come se ne vedono centinaia in tutte le periferie delle città.

"I miei non ci sono"- disse Harry cominciando a camminare tirando fuori un mazzo di chiavi dalle tasche della felpa-"sono dalla nonna, ma sanno che saremmo arrivati. Te li presento domani, ma per oggi siamo soli."
Louis non era sicuro di esserne felice. Lo seguì a passi lenti fino al cancelletto del piccolo giardino, che chiuse alle sue spalle. Lo raggiunse ai piedi della porta ed entrò subito dopo che l'ebbe aperta. Con un gesto automatico Harry accese le luci e fece scattare la serratura per chiuderli dentro, un'abitudine che -quando era solo in casa- non lo abbandonava da quando era piccolo.

Le luci si accesero e rivelarono una casa perfetta: ordinata, spaziosa, accogliente. Louis si addentrò nel corridoio e raggiunse il salone. I suoi occhi furono immediatamente catturati da una sola cosa, che fu in grado di oscurare tutto il resto. Un grande pianoforte nero, lucido e scintillante era proprio al centro del salone. Imponente, bellissimo. D'istinto si girò verso Harry, il quale aveva abbandonato lo zaino a terra.

Gli sorrise, quando notò il suo sorriso emozionato alla vista di quello splendido strumento. -"Ti piace?"- Gli chiese mentre si avvicinava e si sedeva sulla panca e apriva la tastiera.

Louis annuì. -"Hai imparato con questo?"

Harry annuì a sua volta. -"Anche mia mamma suona, così quando ero piccolo i miei sono riusciti a risparmiare abbastanza per comprarne uno. Ho passato qui interi pomeriggi, notti insonni in cui non facevo dormine neanche mamma e papà, e i vicini. Poi, come sai, ho cominciato pugilato e ho abbandonato la musica. Mi sono reso conto di quanto fosse importante per me solo quando mi ha aiutato a salvarmi da me stesso."

Louis sentì la sua voce rompersi. Fu solo per una frazione di secondo, ma notò comunque il cambiamento. Si sedette accanto a lui e gli poggiò la testa su una spalla, una mano sul fianco. Vide le belle mani di Harry sfiorare i tasti, poi premerne qualcuno per suonare un paio di accordi.

"Almeno tu sei riuscito a trovare qualcosa in grado di aiutarti a uscirne." Non era una critica, solo una constatazione. Allungò un dito e premette qualche tasto a caso.

"Tu no?"

"Non esattamente."-Sospirò. -"Non credo ci sia un modo per scappare da mio padre, resta pur sempre mio padre. Zayn mi ha aiutato, il calcio mi ha fatto stare più pomeriggi fuori casa, ma non posso dire di esserne mai uscito."

Harry fu improvvisamente felice di averlo portato via da Miami, anche se glielo stava tenendo segreto. -"Domani ti porto a vedere la palestra dove mi allenavo."

Louis sussultò.-"Sicuro?"

Harry annuì. -"Sì, quel luogo e il Maestro erano una cura, non mi facevano star male. Ero io ad essere troppo violento: il problema ero io, non lo sport in se."

The Game | Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora