Capitolo quaranta - Preda di se stesso

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Harry spense il motore della macchina di suo padre, subito dopo aver parcheggiato senza difficoltá, dato il numero non proprio elevato di persone che frequentavano quel luogo in particolare. Si trovavano in una parte piuttosto periferica della cittá, tuttavia curata e piena di vita. Harry sentì i ricordi allagargli la mente come una pioggia inarrestabile.

"Siamo arrivati"- affermò Louis, sostenendo l'ovvio.

La testa di Harry si mosse leggermente, per confermare; le sue mani non avevano ancora smesso di stringere il volante, benchè non ce ne fosse più bisogno.

Louis osservò attentamente la struttura che aveva di fronte, e dovette ammettere che non era esattamente come se l'era immaginata dai racconti di gloria del fidanzato. La palestra si trovava all'interno di un semplice edificio mattonato a due piani, di forma rettangolare e piuttosto tozza e rigida: più ampio che alto. I muri esterni erano a tratti rovinati dall'usura del tempo, qualche mattoncino rotto o spezzato aveva trovato casa sul terreno subito sotto. Non vi era nessuna insegna -solo qualche finestra e la porta principale che davano all'interno facevano capire un po' a cosa la struttura fosse adibita- e Louis era sicuro che nessuno capitasse lì per caso. Se andavi, ne eri consapevole.

"Andiamo?"- Una mano di Louis strinse gentilmente la coscia di Harry da sopra il tessuto dei jeans, e il ragazzo sembrò risvegliarsi dai suoi pensieri.

Allontanò di scatto le mani dal volante. -"Cosa? Ah, sì certo andiamo."- Nel giro di tre secondi aveva sfilato le chiavi e le aveva messe in tasca, scendendo dalla macchina e chiudendola con il bottoncino apposito.

Si incamminarono entrambi con le mani in tasca -Harry per nascondere il tremolio e Louis perchè non sapeva dove altro metterle- quando, giusto un secondo prima di raggiungere l'entrata, dalla porta uscì un ragazzo alto e atletico, con i capelli ancora umidi da una doccia evidentemente appena fatta e un borsone in spalla, dall'aria molto pesante.

Il ragazzo guardò Louis e non lo riconobbe, poi i suoi occhi si posarono su Harry e cazzo, non poteva crederci. -"HARRY?"- quasi urlò facendo cadere la borsa a terra.

Il riccio fece spallucce, ma Louis lo vide sorridere in modo spontaneo, mettendo in mostra le sue adorabili fossette. -"Ciao Julian!"

"Non posso crederci, avresti potuto avvertire che saresti venuto! Il Maestro sará al settimo cielo!"

Julian semplicemente gli saltò al collo abbracciandolo, noncurante di Louis che proprio lì accanto osservava la scena. Ma non era mai stato un tipo geloso, no. No. Proprio no. Gli avrebbe solo staccato le orecchie per cucirgliele al posto degli occhi, niente di che.
Harry tuttavia ricambiò l'abbraccio di buon grado, stringendolo a sè per qualche istante.

Poi Louis si schiarì la voce per richiamare la loro attenzione e -"Jul lui è Louis, il mio ragazzo. Lou lui è Julian"- disse.

Si strinsero la mano in modo amichevole mentre Louis sentiva il cuore accelerare: amava sentire Harry presentarlo come suo fidanzato. Lo faceva sentire importante, in qualche modo degno di avere quell'appellativo. E Louis non era sicuro che qualcuno al di fuori di Harry si fosse mai sentito orgoglioso di averlo al fianco. Ma questa è un'altra storia.

"Andiamo, tra dieci minuti comincia la prossima lezione, se vuoi parlare con il Maestro è il momento giusto." Julian era tutto emozionato, rivedere Harry era stato bellissimo.

"Ti raggiungiamo subito"- disse Harry, liquidandolo gentilmente -"devo parlare un attimo con Louis."

Il castano sobbalzò sul posto, sorpreso. Julian invece sorrise animatamente e riprese il borsone in spalla per poi rifilarsi all'interno della palestra, senza una parola in più.
Harry si voltò verso Louis lentamente, gli poggiò una mano sul fianco e se lo portò più vicino, in una sorta di mezzo abbraccio rassicurante.

The Game | Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora