Capitolo quarantasei - Girasole

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"Niall!"- Harry corse attraverso il giardino fuori dalla facoltà di musica, chiamando a gran voce il nome dell'amico che in quel momento aveva le cuffie nelle orecchie, e camminava tranquillo verso il cancello d'uscita.

Niall ovviamente non lo sentì, troppo immerso nella musica; così il riccio accelerò il passo sotto gli occhi divertiti o annoiati di qualcuno, fino a raggiungerlo. Gli poggiò una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione e il biondo si girò immediatamente lasciando cadere le cuffie nere sul collo, mentre la sua canzone preferita degli U2 continuava ad andare. -"Hei Haz."

Harry non aveva né il tempo né la voglia di perdersi in saluti. -"Sai se sono ancora aperte le iscrizioni per quella gara di canto del College? Quella per raccogliere fondi che.."

"Sì"- lo interruppe Niall cercando di fargli prendere un respiro. Harry aveva l'aspetto di uno che stava per correre la maratona più importante della sua vita ma che non si era allenato per mesi. I capelli non avevano davvero un senso preciso e gli occhi correvano veloci da lui a ciò che li circondava, come se stesse cercando costantemente qualcosa o qualcuno che potesse aiutarlo. -"Io e Jake siamo andati ad iscriverci giusto poco fa, hai tempo fino a stasera."

Harry sorrise: il suo piano avrebbe funzionato, ne era certo. -"Fantastico."

"Ma perché?"- Niall alzò un sopracciglio cercando di capire -"Non ti interessava né la beneficienza né la gara. È cambiato qualcosa?"

Harry annuì, mentre la sua mente galoppava veloce cercando di non perdersi tra le mille idee e dubbi che l'affollavano, prepotenti. Era cambiato tutto, non solo qualcosa. E soprattutto ora aveva un canzone che non solo voleva far sentire a più gente possibile, ma anche ad una persona in particolare. -"Ho scritto una canzone per Louis."

Niall annuì. Avrebbe dovuto aspettarselo. Da un po' di tempo a quella parte ogni cosa che Harry faceva riguardava Louis, ma non era del tutto convinto che fosse un bene. -"Come è andata ieri?"- chiese riferendosi a ciò che lui stesso aveva aiutato ad organizzare per farli incontrare.

"È andata."- disse, abbassando lo sguardo -"Gli ho rubato un bacio e gli ho detto di amarlo, ma non è ancora disposto a perdonarmi."

"Non mollare Haz."

-

Niall sorrise poggiandosi sullo stipite della porta, osservandolo con un sorriso sul volto che andava da un orecchio all'altro. Zayn era bellissimo, concentrato, professionale.
Era seduto sulla sediolina della sua postazione, nella sua stanza, quella che Niall aveva già conosciuto una volta. Il lettino dove sedevano i pazienti era stato pulito e coperto di carta per proteggerlo dallo sporco, i disegni sui muri e gli schizzi dei tatuaggi appesi alle pareti lo osservavano intensamente, ma Niall non li trovava fastidiosi.

Comunque, la cosa più bella e interessante era Zayn. Seduto, aveva il capo chino sulla scrivania mentre con le dita agili e precise sistemava la macchinetta per i tatuaggi e trafficava con le boccette dell'inchiostro, con aria professionale e -doveva ammetterlo- anche maledettamente sexy.

Niall si schiarì la gola, annunciando la sua presenza. -"È così che accogli i tuoi clienti? Ignorandoli?"

Zayn per poco non fece cadere i colori sul legno della scrivania sporcando tutto, preso alla sprovvista. Si girò sulla sedia girevole e puntò i suoi occhi scuri come la notte in quelli color oceano di Niall, in un bellissimo incontro tra cielo e mare. -"Sto aspettando un cliente"- sgranò gli occhi -"come sei entrato?"

Quell'accoglienza un po' fredda gli fece perdere per qualche istante il sorriso. Era lì per una ragione precisa, aveva preso una decisione abbastanza coraggiosa calcolando le sue idee al riguardo, e soprattutto stava coinvolgendo Zayn senza che niente gli assicurasse che aprirsi così tanto avrebbe ripagato la fatica di concedersi, lui e la sua storia. Ma ormai non poteva tornare indietro e aveva tutta l'intenzione di affrontare quella situazione con coraggio. Sua madre gli ripeteva sempre, da piccolo, che doveva raccontare la sua storia e condividerla con qualcuno che lo meritava, perché ne sarebbe valsa la pena. Perché l'avrebbe fatto stare meglio. Sperava solo che fosse veramente il caso.

The Game | Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora