Correva, correva. Le gambe bruciavano, il fiato era spezzato dalla fatica, i capelli volavano indietro a causa del vento, tutto intorno a lui sembrava esistere solo per mandarlo fuori di testa. Semplicemente correva, circondato dal nulla. Un nulla che lo opprimeva e lo soffocava, rendendolo allo stesso troppo libero. Accelerò, cercando di arrivare alla fine di quella strada che sembrava interminabile; non c'era un singolo punto di riferimento, un modo per tornare indietro o andare avanti: andava veloce, ma era come stare fermo sempre nello stesso punto, e più cercava di arrivare alla fine più gli sembrava che essa fosse inesistente.
I suoi piedi si muovevano veloci sulla strada perfettamente asfaltata che raggiungeva l'orizzonte e lo attraversava, distruggendolo e continuando imperterrita il suo corso infinito. Intorno a lui solo il deserto, il nulla, l'ignoto. Si sentiva stanco e solo, frustrato. Come se il destino, il tempo e lo spazio si stessero beatamente prendendo gioco di lui.
Se è un sogno ti prego, svegliatemi - pensò, parlando con chissà chi. Il desiderio di tornare a casa che lo spingeva a continuare a correre, a non arrendersi.
Ma alla fine, o forse non proprio, le gambe stanche cedettero sotto il peso del suo corpo, e lui semplicemente cadde a terra, sfinito, sull'asfalto. L'impatto fu forte ma non terribile, lui era solo stanco. Rimase accasciato a terra in quella posizione, mentre le gambe pulsavano dalla fatica e lui si sentiva così privo di energie che muovere anche un solo singolo muscolo gli sembrava una sfida impossibile. Nella sua mente continuava a chiedersi come fosse finito in quella situazione, e la sua stessa mente continuava a ripetergli che era colpa sua, che era tutto frutto della sua immaginazione. Eppure non riusciva ad uscirne, preda di se stesso, in trappola, probabilmente senza una via di scampo.
"Louis."
Fu una voce, quella voce, a costringerlo ad alzare lo sguardo. Con le mani fece forza con tutto se stesso sulla strada, tirandosi sù con il busto e cercando di focalizzare l'attenzione su colui che lo aveva chiamato. Ma le sue orecchie l'avevano riconosciuto subito, ancora prima che i suoi occhi potessero inquadrare la sua immagine sfocata dalla stanchezza. -"Papà"- sussurrò semplicemente, con il fiato ancora corto e la testa dolorante.
La solita guerra che si combatteva dentro di lui da anni riprese con l'ennesima battaglia; una guerra che non poteva né vincere né perdere: infinita, come la strada su cui era crollato. Era felice di non essere solo, odiava il fatto di dover chiedere aiuto proprio a lui, colui che avrebbe dovuto significare tutto per lui ma che in realtà non significava niente, perché ne conservava solo ricordi che avrebbe ben volentieri dimenticato. Non era davvero un padre, era un nome da aggiungere alla lista delle persone che non lo avevano mai accettato, che lo avrebbero per sempre odiato.
"Trovo abbastanza divertente il fatto che nella vita cerchi sempre di fuggire via da me, ma che in sogno io sia l'unico in grado di aiutarti." - La sua voce era fredda e lontana, con un'ombra non troppo sottile di sarcasmo. Si prendeva gioco di lui, come se avesse mai fatto qualcosa di meglio e potesse permettersi di riderci sopra.
Qualcosa dentro di Louis si spezzò, come ogni volta che la vita sembrava voler infierire su di lui. -"Non ti ho chiesto aiuto."
Vero. Ne aveva bisogno, ma non lo aveva e non lo avrebbe chiesto. Non gli avrebbe regalato questo potere, non gli avrebbe permesso di esercitare forza su di lui. Era debole, ma non si sarebbe mostrato tale. Lui chiuse gli occhi per un istante mentre suo padre apriva la bocca per parlare, e prese un respiro il più profondo possibile. Tuttavia non fu lui a parlare, ma la voce di qualcun altro. -"Vai via, lui non ha bisogno di te. Noi non abbiamo bisogno di te."
Louis rimase totalmente a bocca aperta quando, alzando lo sguardo, i suoi occhi incontrarono quelli di Stan, che stavano ricambiando lo sguardo altrettanto intensamente.
Stan era in piedi, con le braccia incrociate al petto, proprio alla sua destra. Louis non si soffermò ad analizzare niente della sua figura se non i suoi occhi; non si erano mai capiti o amati o accettati eppure ora, tramite gli sguardi, si stavano dicendo tante tante cose. Cose che riuscivano a capire. Empatia. Louis realizzò solo in quel momento che ad unirlo a Stan non era solo avere il sangue in comune, ma era odiare profondamente lo stesso uomo: loro padre. Qualcosa ad accomunarli c'era sempre stato, ma non se ne erano mai resi conto, non si erano mai soffermati a pensarci.
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The Game | Larry Stylinson
FanfictionI clichè fanno parte della vita, Harry e Louis ci metteranno poco a scoprirlo. Stesso College, stessa prima lezione, e forse stesse sensazioni. Il problema è il loro essere così irrimediabilmente diversi. Harry canta, suona, scrive. È un ex pugile...