Angel without wings

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Prologo. Due ragazzi, la stanza di un motel, due calibro 38.
Inizia così "Angel without wings", con un racconto in prima persona, che capiamo essere dal punto di vista di Harry.
Lacrime, paura, adrenalina: un mix micidiale, che sembra far vacillare Harry; ma c'è Louis al suo fianco e, mano nella mano, sono finalmente pronti. Un conto alla rovescia, il cuore che batte all'impazzata e poi... il buio.

Il prima capitolo ci sbalza indietro di un anno. Ora, credo di averlo già scritto in tutte le salse, ma lo scriverò un'ennesima volta, nel caso non foste ancora abbastanza esasperati e non fosse sufficientemente chiaro: odio con tutto il cuore questi cavolo di inizi. Perché?! Davvero, secondo me non ha senso iniziare la storia in un punto drammatico più o meno a caso della narrazione se poi devo ancora leggere tutto quello che è successo prima.
Questa scelta stilistica piace a molti, non lo nego, e in effetti lascia addosso un bel po' di adrenalina, ma anche l'amaro in bocca, e per questo non mi piace.
Torniamo al primo capitolo, in cui vediamo Harry appena scappato dalla sua casa in Inghilterra, e finito a Bloomington per fuggire da un evento doloroso.
Proprio qui il ragazzo cerca di rimettere insieme i pezzi, per cercare una sorta di normalità, o un'illusione che ci si avvicini.
All'università, Harry si imbatte in Niall, un concentrato di fame e vitalità, e capisce subito che tra loro nascerà una profonda amicizia (se non altro perché scollarselo di dosso è un'impresa impossibile).
Il biondo gli parla del campus, e lo mette subito in guardia: tenersi il più lontano possibile da Louis Tomlinson e dai suoi amici.
Ad Harry sta più che bene: l'unico modo per convivere con la sua afefobia è rimanere isolato da tutti, e il contatto fisico non è proprio una cosa per lui.
Finalmente, dopo poche settimane, Harry trova un annuncio per condividere un appartamento con un altro studente: il riccio è entusiasta, almeno finché non si trova davanti proprio Louis; che fare ora? Scappare a gambe levate o accettare? Harry non può resistere un giorno di più nel motel in cui alloggia, quindi si trova davanti una scelta obbligata, ma, prima di trasferirsi, pone un'unica semplice condizione: Louis non lo dovrà toccare mai, in nessun modo e per nessun motivo.
Ma l'altro non è abituato a fare quello che gli altri gli dicono, lui vuole sfruttare le debolezze del prossimo, vedere soffrire gli altri per mano sua, e inizia per Harry un interminabile mese di pestaggi e violenze a opera del suo coinquilino e dei suoi amici.
Ciò che fa più male ad Harry non è il ghigno di soddisfazione di Louis ad ogni suo nuovo vivido, ma il sentire il tocco di estranei sulla propria pelle, come trafitta da migliaia di aghi.

Louis finalmente si placa e sembra davvero pentito, e trova un solo modo per farsi perdonare dall'altro: guarire Harry dalla sua afefobia, insegnargli di nuovo a godere del tocco di un altro essere umano.

Ma Harry è davvero pronto a questa "cura" e tutto il dolore che sa che proverà? E' pronto a tirare fuori tutto il marcio, per sentirsi finalmente libero? E Louis? Anche il bel tenebroso nasconde qualcosa, un segreto sepolto sotto anni di sofferenza, ma che ormai spinge per venire a galla...

*    *    *


Ho letto questa ff su richiesta dell'autrice 

Consideriamo innanzitutto la trama: mischia elementi ormai ampiamente sfruttati a qualche novità, o presunta tale. Per una volta si parla espressamente di afefobia (magari l'autrice è reduce da un incontro con la James e il suo Christian Grey?) e si analizzano tutte le sensazioni e le emozioni che questa malattia porta a provare. Davvero non male sotto questo punto di vista.

Louis, per quanto il suo pentimento e il suo improvvisarsi psicologo possano sembrare improbabili, è un personaggio fatto abbastanza bene; Harry mi è piaciuto.

Di altri protagonisti non ce ne sono, sono tutti personaggi di contorno, visto che la maggior parte della narrazione riguarda "momenti" in cui Harry e Louis sono soli.


Passiamo allo stile, e qui arriviamo al tasto dolente.

L'autrice sembra mischiare lo stile di Marino con quello di D'Annunzio. Il risultato? avete presente lo stile barocco? Ad esempio, quei mobili ricchi di decorazioni? Ecco, immaginate una sedia (scusate ma non mi veniva in mente niente di meglio) realizzata in questo stile. Voi intuite la forma della sedia, ma questa è appesantita da decorazioni, abbellimenti, riccioli e passamanerie eleganti. Questa storia è in stile barocco. Non lo nego, mi piace che nelle storie che leggo ci sia magari qualche termine ricercato, o un filino più elegante di quello che useremmo nel parlato. Si sa, la lingua scritta non ammette alcune espressioni che ormai nel linguaggio quotidiano sono scontate. Ma qui si esagera.

Troppo, troppo di tutto. Termini troppo ricercati, troppo arcaici, descrizioni troppo lunghe, troppe metafore. Qui D'Annunzio regna sovrano, e l'apoteosi si raggiunge con l'espressione "coccole aulenti" (precisiamo che l'espressione "coccole" non è sinonimo di abbracci o qualcosa di simile, ma significa "bacche"), che, a quanto ne so, ha usato solo lui in tutta la storia della letteratura italiana.

Ostentare la propria erudizione e la propria padronanza della lingua non è una scelta saggia, anche perché si finisce per trascurare le basi della grammatica, come in questo caso... o col tirare fuori espressioni totalmente anacronistiche e improbabili come "rugiadose", presa in prestito da Foscolo e Parini.


Lo ammetto, dopo una prima lettura fino al capitolo 13 sono riuscita a spingermi la seconda volta fino al 17, ma nonostante la curiosità per questa storia che sembrava promettere bene, l'insofferenza verso D'Annunzio ha avuto la meglio.

Mi sento di dare un unico consiglio: andare a sciacquare i panni in Arno e semplificare tutto, eliminare tutte le espressioni che poco si addicono alla storia e renderla essenziale, togliendo le descrizioni prolisse, per esprimere le emozioni senza tanti giri di parole.


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Un bacio e buona lettura

Laura

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