35.Rabbia e delusione.

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Avevo appena chiuso la telefonata, un sorriso e un sospiro di sollievo furono i miei primi gesti, poi iniziai a camminare, senza una meta, sino a quando non trovai sulla mia strada un parco e mi sedetti lì su una panchina.
«Pronto?» chiesi prendendo nuovamente il telefono.
«Elo dove sei? Stiamo per andare via» la voce di Chiara mi fece notare che ero parecchio tempo qui mentre loro mi aspettavano al bar.
«Iniziate ad andare, vi raggiungo dopo» dissi, avevo bisogno di stare ancora un po' da sola, era da tanto che cercavo questa pace in me stessa.

«Usciamo stasera?» chiesi euforica a Chiara spalancando la porta del bagno e facendola urlare.
«Sei pazza?!» urlò con il phon in mano, risi e lei fece lo stesso.
«Come mai tutta questa voglia di uscire?» chiese tornando in camera.
«Ho voglia di divertirmi» sorrisi.
«Tu mi devi spiegare qualcosa» si mise accanto a me sul letto e le parlai a cuore aperto.
«Vado da Gabriele e vedo cosa fanno a cena, tu fai la doccia nel mentre» dice chiudendosi dietro la porta ed io entrai in doccia.

«Vada per il ristorante» comunicò Daniele dei La Rua e ci incamminammo per il luogo scelto.
«Quanto siamo felici oggi» rise Gabriele al mio fianco porgendomi il braccio che afferrai subito.
«Si vede così tanto?» domandai con un sorriso.
«Ci puoi scommettere» rise «Ma ancora non mi hai spiegato» mi ricordò.
«Ma acqua in bocca» dissi concludendo il mio discorso su ciò che era successo «Per ora non voglio che venga sbandierato» ammisi.
Non amavo per niente l'idea di stare sempre sotto i riflettori, nonostante la mia vita ora era praticamente diventata così, ma non volevo che le mie cose private si sapessero e preferivo tenerle per me e confidarle solo a chi mi fidavo.
«Cosa sta facendo?» chiesi infastidita.
«Si sta sedendo» rispose Gab ridendo.
«Sta oltrepassando il limite» comunicai all'amico del moretto che si era appena accomodato al tavolo con Arianna affianco.
Questa situazione iniziava seriamente a urtarmi il sistema nervoso, ma la mia coscienza mi diceva di stare calma e tranquilla, così mi accomodai tra Daniele e Gabri e iniziai con loro una conversazione.

«Elo, dobbiamo pranzare» una voce lontana si faceva strada nella mia testa «Elo!» disse più forte.
«Elooo!» urlò. Aprii di scatto gli occhi e subito un mal di testa me li fece richiudere per qualche istante.
«Che c'è?» sussurrai, la mia voce era talmente bassa che nemmeno io sentii.
«È l'una» rispose tranquilla Chiara.
«L'una?!» urlai alzandomi di scatto e riappoggiandomi subito al cuscino per il dolore forte alla testa.
Annuì e feci mente locale per capire cosa era successo ieri.
«Ti ho riportato alle cinque in albergo, non volevi rientrare ed io avevo troppo sonno» sbuffò ma un sorriso mi fece capire che potevo stare tranquilla.
Immagini di me felice in discoteca mentre mi scatenavo si fanno spazio nella mia mente facendomi leggermente ridere.
Chiara mi portò una bustina per il mal di testa e poi andammo a pranzare.
Eravamo solo noi due, probabilmente anche gli altri si erano addormentati piuttosto tardi e non avranno avuto modo di avvisare nessuno per il pranzo.
Questa era la classica domenica da coma, continuavo a pensare al mio letto persino quando stavo mangiando. Tornai con Chiara in albergo dopo aver pranzato, volevo dormire.
Entrammo al residence e la hall era popolata dai ragazzi spiaggiati sulle poltroncine, accompagnai Chiara e diedi uno sguardo fugace a Lele con accanto Arianna poi andai in ascensore e salii in camera.
Il risveglio non fu tanto drammatico, stavo decisamente meglio e dopo aver fatto una doccia scesi alla hall, magari c'era ancora qualcuno.
Quando mi ritrovai lì pensai che forse era meglio stare a dormire, mi sarei innervosita di nuovo e non era il caso.
«Elo, finalmente» sorrise Gab seduto in una poltroncina. Girai lo sguardo sull'altra, Arianna seduta sulle gambe di Lele.
Nessun altro contatto fisico tra lui e lei ma già bastava quello per farmi imbestialire.
Ringraziai mentalmente Gab quando mi invitò a salire con lui nella sua stanza anche se poco dopo ci raggiunse lo spocchioso.
«Ciao Didì» disse entrando in stanza.
Didì?
Davvero? Stiamo scherzando? Prima non si degna nemmeno di guardarmi e ora mi chiama Didì?
«Non chiamarmi così Lele» ringhiai.
La reazione di Gabriele fu quella di scappare dalla camera e rimanemmo soli.
In realtà avevo provato ad andarmene anche io ma il ragazzetto mi aveva trattenuto per il polso.
«Cosa vuoi Lele?» chiesi acida.
«Ma che hai?» domandò in tranquillità sedendosi sul letto.
«Non mi far innervosire!» dissi cercando di tenere la calma.
«Elo dimmi cos'hai!» il suo tono era cambiato, era nervoso.
«Hai anche il coraggio di incazzarti eh?!» urlai mettendomi in piedi davanti a lui «Vuoi sapere cosa ho? Benissimo!» mi fermai a guardarlo, i suoi occhi marroni fissavano i miei in attesa di un discorso.
Mi prese un polso per farmi sedere accanto a lui.
«Lele, smettila» dissi scansandomi e rimase in silenzio ad aspettare le mie parole.
«Si può sapere quali sono i tuoi disagi eh? È una settimana che ti comporti come uno sconosciuto ed hai anche il coraggio di chiedermi cos'ho? Mi hai praticamente ignorato questi giorni e poi te ne vieni qui con un 'Ciao Didì'?» dico mimando le virgolette «Sono stata messa in una fottuta sfida e tu non ti sei nemmeno degnato di darmi un in bocca al lupo o una semplice parola di conforto, ho pensato che forse eri nervoso e quindi ho aspettato e quando è finita la sfida hai detto qualcosa!?» sbraitai.
Scosse la testa leggermente.
«Ecco!» dissi facendo un finto applauso «E sai qual'è la parte peggiore Lele, lo sai qual'è?» chiesi urlando, la mia voce si stava spezzando ma non potevo cedere ora.
«Quale?» chiese in un sussurro.
«La cosa peggiore è che tu mi hai sostituito!» urlai.
Cercò di controbattere ma continuai «Hai trattato lei come trattavi me, ieri a cena non mi hai nemmeno guardato prima di sederti accanto a lei! Facevi le corse contro Gabriele per venire a sederti accanto a me, ti ricordi Lele eh? L'hai tenuta sulle tue gambe, ti rendi conto? E mentre io ho lasciato il mio ragazzo tu stai a giocare! Giochi a farmi ingelosire mentre io ho fatto tanto per te, tanto!» urlai ancora.
Mi continuava a guardare senza dire una parola, sembrava una statua.
«Ma alla fine per cosa dovrei arrabbiarmi? Noi non siamo niente, non siamo amici né fidanzati, non siamo niente io e te Lele..» sussurrai ora.
«Ora và da lei, Lele» gli puntai un dito contro «Vai! Perché io non voglio stare ai tuoi stupidi giochi!» dissi ed uscii.
Mi ero tolta un gran peso ed ora mi sentivo meglio, mi ero liberata, finalmente. Mi rifugiai in stanza e dei pugni alla porta catturarono la mia attenzione, guardai dallo spioncino e lo vidi di fronte alla porta.
«Va via Lele, vattene!» urlai da dietro alla porta e sentii i suoi passi allontanarsi.
Gli avevo dato il tempo per parlare ma lui aveva preferito stare in silenzio a guardarmi come se fossi la cosa più strana di questo mondo, non aveva fatto nessuno sforzo per scusarsi né tanto meno per darmi spiegazioni, era semplicemente rimasto lì come un completo idiota a guardarmi andar via.

Lele.
Uscii dall'albergo mentre continuava a piovere e mi misi a correre.
Correvo senza una meta, poi arrivai ad un parco completamente deserto mentre la pioggia continuava a bagnarmi ogni centimetro di pelle.
Entrai in un bar ed ordinai una birra, due, tre..
Uscii da quel bar in brutte condizioni e tornai al parco, scaraventai un pugno ad un albero e poi un altro e un altro ancora, forse così riuscivo a scaricare tutto ciò che avevo dentro.
Ero un coglione, un completo coglione e me ne accorgevo solo adesso.
Le mie nocche erano piene di sangue mentre la pioggia bagnava le mie mani facendo svanire in parte il sangue che colava. Rimasi in una panchina qualche ora e pensando mi ricordai di quanto fossi veramente cambiato. Non avevo mai fatto una cosa simile, mi ero davvero ubriacato per poi prendermela con un albero? La mia vista era offuscata dalla pioggia e dalla quantità di alcool nel mio corpo, mi alzai dalla panchina barcollando e rincominciai a prendere a pugni e calci l'albero. Il sangue delle mie mani scendeva senza sosta ed ora anche la mia maglietta bianca era insanguinata.
I capelli erano completamente zuppi e mi cadevano sulla fronte con milioni di gocce.
«Che cazzo stai facendo?!» urlò qualcuno facendomi voltare di scatto, mi accasciai ai piedi dell'albero con le mani sul viso mentre una figura si mise a correre verso di me, lanciò l'ombrello in terra e si inchinò alla mia altezza.
«Lele..»

Ci ho messo un po' per scrivere questo capitolo per quanto riguarda il discorso di Elo, spero vi piaccia fatemi sapere😘 Per ora vi lascio con un po' di suspance

A love disaster./Lelodie.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora