Twenty One Pilots, The Judge
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"Potresti tornare."
Una strana sensazione si impossessa del mio petto a queste sue parole, e la mia mente ne è talmente offuscata che, per un attimo, mi sembra di aver sentito male o di averlo solo immaginato.
Lo scruto con attenzione, come a cercare una conferma di ciò che ho sentito, mentre quelle sue parole iniziano a ripetersi nella mia mente senza sosta.
"Qui?" chiedo piano dopo un po', mentre cerco ancora di rielaborare quelle semplici parole, che però in me ha scaturito una serie di sensazioni a dir poco inebrianti.
È la prima volta che non mi dice che qui non dovrei stare o che non dovrei tornare. Questa volta sembra che mi voglia davvero qui, e mentirei se dicessi che non ne sono lusingata.
Probabilmente ci sarei tornata comunque se lo avessi voluto - cosa assolutamente plausibile - ma sapere che c'è qualcuno che mi aspetta, che c'è Harry che mi aspetta, mi causa una strana sensazione nel petto, piacevole ma molto intensa.
"Ci vediamo, Jane." Mi sorride dolcemente, prima che mi volti e lasci il bosco.
Mentre cammino verso casa, non riesco a togliermi questo stupido sorriso dalla faccia, e mi sento stranamente più leggera, come se fosse appena successo qualcosa che aspettavo da tempo. Per la prima volta dopo mesi, sento che nella mia vita possono ancora esserci giorni degni di essere vissuti.
È strano che mi abbia lasciata andare da sola, solitamente non mi fa muovere più di due passi senza volermi accompagnare, ma da una parte per me è meglio così. Ho bisogno di un po' di tempo per scaricare tutte queste sensazioni, e la sua presenza le farebbe soltanto aumentare di intensità, che non è quello di cui ho bisogno ora.
Inizio ormai a intravedere la strada che costeggia il bosco, quando mi rendo conto che il luogo mi sembra stranamente più silenzioso del solito. Ci sono alcuni uccelli che cinguettano alti nel cielo e qualche scoiattolo che squittisce fra gli alberi, ma è come se mancasse qualcosa. Mi sento più sola del solito.
Immagino che sia per il vento che questa volta non soffia tra gli alberi, non creando il fruscio a cui mi sono abituata, però rendendo la temperatura un po' più alta del solito.
Quando torno a casa è già completamente buio, e mi ricordo di non aver avvisato mio padre di questa uscita. Dannazione, sarà preoccupatissimo.
Anche se so che a questo punto non sarà di certo questo a fare la differenza, inizio a correre per tutta l'ultima parte di strada e, quando finalmente arrivo di fronte alla porta d'ingresso, suono il campanello con il fiatone e il cuore in gola.
Posso soltanto immaginare quello che sta provando in questo momento: sarebbe preoccupato in ogni caso, ma, in questa particolare situazione, l'ultima volta che un figlio non è tornato a casa in tempo è finita molto male.
Quando papà mi apre la porta, lo trovo esausto e preoccupato. Scure e profonde occhiaie gli solcano il viso, e gli occhi mi sembrano un po' arrossati. Gradualmente vedo nel suo sguardo iniziare a dissolversi tutte le sensazioni accumulate nell'attesa, che mi sembrano molto simili a quelle della sera in cui Edward ha avuto l'incidente.
Non ho il tempo di mettere piede in casa che lui mi piomba addosso e mi stringe in un abbraccio che non mi aspettavo, ma che comunque ricambio volentieri, dopodiché mi trascina in casa e mi squadra da capo a piedi freneticamente, le mani strette sulle mie spalle come per sorreggermi e osservarmi meglio.
"Dove diavolo sei stata? Stai bene?" inizia a tempestarmi di domande, con tono agitato.
"Sì, papà, ho solo fatto tardi, va tutto bene" cerco di rassicurarlo, mentre aspetto l'inevitabile strigliata.
"Sicura?" domanda ancora, continuando a scrutarmi con attenzione alla ricerca di ferite inesistenti o di chissà che altro.
"Sì" confermo di nuovo.
"Sul serio, ho... fatto una passeggiata qui intorno e ho perso la cognizione del tempo" proseguo, raccontando una mezza verità.
Lui mi osserva ancora per un po', convincendosi gradualmente che sto bene, poi chiude a chiave la porta e va verso il salotto.
"Dio, Jane, mi hai fatto morire di preoccupazione" mormora, in parte parlando a se stesso e riflettendo ad alta voce.
Inizia a camminare nervosamente in tondo per il piccolo salotto, immagino pensando al da farsi, e dopo un po' giunge finalmente a una conclusione.
"Sicura di stare bene?" si assicura ancora una volta.
"Sì, papà" rispondo meccanicamente.
"Perfetto, sei in punizione allora" conclude secco.
Rimango totalmente spiazzata da questa sua uscita. Più che questo mi aspettavo una bella sgridata. Non ho mai ricevuto punizioni in vita mia, e non certo perché non ne meritassi, ma semplicemente perché i miei genitori non hanno mai utilizzato questo sistema.
Non riesco a trattenere un sorriso divertito per il modo in cui l'ha detto, cambiando tono così, da un momento all'altro.
Anche lui sorride un po', ma immagino che la decisone della punizione resti comunque.
"Per una settimana non potrai uscire né vedere la tv, intesi?" prosegue, anche se il ruolo del genitore autoritario non gli riesce proprio un granché.
"Papà, io non guardo la tv" gli faccio notare, alzando gli occhi al cielo con fare divertito.
Lui rimane un po' spiazzato dalla mia risposta, ma si sforza comunque di rientrare nella parte. "Davvero?" chiede sorpreso inizialmente. "Come... cioè, non importa. E ora, a letto."
"Certo, papà" annuisco sorridendogli.
"Buonanotte" aggiungo poi, lasciandogli un bacio sulla guancia.
Sto per allontanarmi e dirigermi nella mia camera, quando papà mi cinge in un abbraccio. "Ti voglio bene. Non farlo mai più" sussurra, accarezzandomi affettuosamente i capelli.
"Anche io" rispondo, ricambiando l'abbraccio. "E mi dispiace per essere tornata tardi."
"L'importante è che tu stia bene" dice mio padre, con quel suo tono rassicurante che sin da piccola è sempre riuscito a tranquillizzarmi e a farmi sentire al sicuro da tutto e da tutti.
Rimango stretta fra le sue braccia ancora per un po', poi mio padre scioglie delicatamente l'abbraccio.
"Dai, va' a letto ora" conclude, ed io ubbidisco, arrivando nella mia camera e indossando rapidamente il pigiama.
Mi addormento non appena appoggio la testa sul cuscino, e sogno alberi e occhi verdi.
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Lost Souls | H.S.
Hayran Kurgu«Ci sono persone a cui la morte concede un'altra possibilità.» Jane Dawson ha sofferto molto più in diciassette anni di quanto la maggior parte delle persone faccia in una vita. Il fratello è morto in un misterioso incidente, la madre ha abbandonato...