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Imagine Dragons, Not Today

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Lo studio del dottor Walker non è esattamente come me lo ricordavo. Qualche mobiletto è stato spostato, alcuni quadri sono stati tolti per lasciare spazio ad altri, a coprire le ampie finestre si trovano altre tende.

Lo stesso aspetto del mio psichiatra mi sembra differente. Qualche ruga in più a solcargli il volto, i capelli brizzolati più di prima, il taglio un po' più lungo.

"È un piacere rivederti, Jane" esordisce, mentre io mi metto seduta sul divanetto collocato di fronte alla sua poltrona.

Sono mesi che non mi presento. Da quando ho lasciato la clinica, le sedute da Scott Walker si sono fatte via via più sporadiche, sino a cessare del tutto.

Ma, in questo momento, per la prima volta da quando questi incontri mi sono stati imposti, sento di averne realmente bisogno. La mia mente è un complesso groviglio di fili, di preoccupazioni e di pensieri, e mi rendo finalmente conto che, da sola, non ho alcuna possibilità di riuscire a districarli. Non senza perdere il controllo.

Perciò sono estremamente grata al dottor Walker, per aver trovato un piccolo spazio per me in mezzo ai suoi impegni, nonostante non ci fosse alcun programma. Di ritorno dalla libreria, infatti, con tutti gli avvenimenti della giornata a vorticarmi caoticamente nella mente, mi ero diretta alla fermata dell'autobus senza neppure pensarci.

"Grazie" rispondo semplicemente.

Mi prendo alcuni momenti di silenzio, grata che il dottore me li stia concedendo, limitandosi ad attendere pazientemente, con lo sguardo rivolto al bloc notes che regge fra le mani. Non so esattamente ciò che voglio dire, fatico a concretizzare ciò che sento, esprimendolo a parole.

La verità è che, per quanto si possano avvicinare, arrivando a coglierne anche le sfumature più nascoste, non sono le parole il mezzo più efficace per esprimere sentimenti. Sono i gesti. È solo nei gesti in cui ciò che proviamo si converte, che si può trovare un riflesso cristallino delle nostre sensazioni.

"Come si capisce quando si è raggiunto il limite?" domando alla fine.

"Limite?" replica Walker pacatamente. "È un concetto molto ampio. Esso stesso è illimitato, paradossalmente."

Sospiro, faticando a trovare le parole. "La mente umana... quanto riesce a sopportare, prima di cedere? Prima di... perdersi."

"Mentirei se dicessi che posso rispondere" risponde il dottor Walker, mentre scarabocchia qualcosa sul bloc notes. Per alcuni istanti, l'unico rumore a riempire la stanza è il raschiare della penna sulla carta. Poi, ritorna ad aleggiare il suo tono calmo e grave. "Non esistono parametri per qualcosa di così complesso. Non possiamo misurare l'interiorità di una persona."

Se fino a poco tempo prima rivolgevo qualche rapida occhiata al dottore che mi siede di fronte, ora smetto di guardarlo. E, a questo punto, le parole incominciano a lasciare la mia bocca come un fiume in piena, senza più cercare alcun interlocutore.

"Io..." comincio, osservando le mie mani torturarsi sul mio grembo. "È incredibile come ogni singolo evento del passato, anche il più insignificante, sia in grado di entrarci dentro, divenendo parte di quello che siamo e che saremo. Ed è per questa ragione che non so dare delle precise indicazioni temporali. Quando mi sono persa? Dopo la morte di mio fratello? Dopo l'addio di mamma? Dopo la clinica? Ho sempre attribuito a questi eventi gran parte di quello che sono, sino ad identificarmi in essi. Sono la sorella del ragazzo morto. Sono la figlia della donna che ha lasciato la propria famiglia. Sono la mia depressione.

È incredibile quanto a lungo una verità riesca a restare celata. Ora che posso vederlo, non riesco a capacitarmi di come abbia potuto essere così cieca. Il punto non è cosa mi è successo. Non sono la prima persona a vivere qualcosa del genere, e di certo non sarò neppure l'ultima. Il problema è come l'ho affrontato. Osservando sempre il mondo dall'esterno, rimanendo ai margini per paura di scottarmi, il mio punto di vista si è distorto sino a non capire quanto stessi sbagliando. Ho sprecato ore, giorni, mesi essendo triste. E, potrei dire che le cause erano esterne. Potrei aggiungere una mia interiore debolezza, l'incapacità di fronteggiarle. Ma non si tratta soltanto di questo.

La verità è che io amo la tristezza. Quanto è facile sentirsi tristi, soli e abbandonati! Quanto è facile chiudere gli occhi di fronte a qualcosa di buono, catalogandolo come sporadico od irripetibile! Quanto è facile restare nell'ombra, evitando di lasciarsi andare alla felicità, per paura di soffrire!

Quanto invece è complicato vivere? Farlo veramente, con tutta l'anima, accogliendo con lo stesso amore le gioie ed i dolori che la vita ci pone davanti? Crogiolarsi nella delusione, imponendosi di provarla all'infinito, prima ancora che la vita ci ponga davanti a qualcosa di terribile. Rifiutarsi di vivere, restando sospesi in quel limbo che è il dolore che mi sono costruita attorno. Aggrapparsi al fondo, così da evitare il trauma della caduta. Affermare di voler gridare aiuto, e poi limitarsi ad un sussurro.

Questo è ciò che ho fatto per tutto questo tempo. Questo è quello che continuo a fare, rifiutando in ogni modo di accogliere la felicità, temendo il momento in cui essa cesserà.

Io sono sempre stata persa. E non ho mai fatto niente per provare a ritrovarmi."

Quando smetto di parlare, il silenzio che cala all'interno dello studio mi sembra assordante. Mi rendo conto di avere gli occhi inumiditi solo quando le mie dita sfiorano il mio volto, scoprendolo rigato dalle lacrime. Il mio cuore è totalmente agitato, riesco a udire chiaramente i battiti che si susseguono in un ritmo concitato.

La mia mente, invece, per la prima volta è come ripulita. Come se pensieri e sensazioni che da sempre vagavano al suo interno, annebbiandola completamente, fossero tornati al loro posto. E, non tutti e neppure gran parte, ma l'hanno fatto davvero. In modo precario, barcollando su una corda troppo sottile, che potrebbe spezzarsi da un momento all'altro.

"Abbandona le tue convinzioni. Potresti scoprire un mondo."

Per tutto il tragitto fino a casa, la mia mente è come svuotata. Non c'è alcun pensiero che io riesca a udire. Solo per qualche ora, cerco di godermi la spensieratezza, evitando di intaccarla con qualunque preoccupazione.

Quando arrivo a casa, è ormai sera, ma papà non è ancora rientrato dal lavoro. Evitando di guardare verso il bosco, entro e raggiungo la mia camera, richiudendomi la porta alle spalle.

Chiudo gli occhi e mi soffermo ad ascoltare il mio respiro, come se fosse la prima volta che lo sento.

Rivolgo un rapido sguardo alla stanza, ritrovandola nell'ordine rigoroso in cui l'avevo lasciata. Muovo qualche passo verso il letto, decisa a sdraiarmi e chiudere gli occhi, ma qualcosa attira la mia attenzione, bloccandomi.

C'è qualcosa, sul davanzale della finestra.

Un foglio ripiegato in due parti, il cui contenuto riesce già ad intravedersi, poiché le parole sembrano volerlo attraversare, per la forza con cui sono state incise sulla carta.

Non mi concedo il tempo di pormi alcuna domanda, limitandomi ad aprirlo. Mi saltano all'occhio le frequenti cancellature che interrompono il testo, scritto in una grafia disordinata.

Il mio sguardo scorre lentamente sopra ogni parola, e mi perdo fra di esse. Qualche lacrima che non riesco a trattenere scorre lungo le mie guance, ma le lascio scivolare, continuando a leggere anche con la vista un po' offuscata.

Quando giungo alla fine della lettera, scoprendone il mittente, il mio cuore perde un battito. Sento un vuoto all'altezza dello stomaco, associando un volto che conosco bene a quelle due sole iniziali.

H.S.

In origine la lettera avrebbe dovuto essere parte del capitolo, ma alla fine ho deciso che costituirà l'epilogo.
Da questa scelta dipendeva (almeno nella mia testa hahahah) il finale della storia, perciò non è stato facile.

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A presto,
M.

Lost Souls | H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora