~PARTE SECONDA~

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Le porte scorrevoli in vetro molto spesso -antiproiettile- , si aprono, facendo entrare una figura dai lineamenti giovani, vestita in modo comune: un paio di jeans, una maglietta e ai piedi dei comunissimi scarponi. Ma nonostante ciò, cammina a testa alta, come se fosse il più importante dei generali e in viso ha stampato un sorriso arrogante, il sorriso di chi sa che può avere tutto con il solo schiocco di dita.
Dopotutto, lui è il più potente lì dentro e certe cose se le può permettere.
"Allora, come stanno andando le ricerche?" Chiede avvicinandosi alle persone sedute davanti a un computer, intente a leggere codici e mappe senza un senso apparente. Il fatto è che l'apparenza inganna.
"Uno dei due è stato fatto fuori. All'altro toglieranno il microchip molto presto, anche se non lo lasceranno andare: anche loro si sono accorti che è potente."
A quelle parole il ragazzo fa un sorriso vittorioso appena accennato, affrettandosi subito a camuffarlo con uno fintamente dispiaciuto.
Si capisce subito se uno è adatto ad entrare nell'Associazione e loro due non erano adatti fin dall'inizio secondo lui. Troppo imprevedibili e non costanti nella dimostrazione dei loro poteri.
"Vorrà dire che affideranno a me la missione."
La guerriera con cui sta parlando si gira lentamente verso di lui aiutata dalla sedia girevole e alza un sopracciglio rossiccio "La dote di un buon soldato è anche la pazienza oltre alla bravura con le armi. Quello ancora vivo è ancora nella lista e sai che non faremo partire nessuna nuova missione finchè non li avremo trovati tutti."
Il ragazzo reprime una smorfia infastidita e annuisce, dando le spalle alla donna e incamminandosi di nuovo fuori dalla stanza con lo stesso passo di come era entrato. Dopotutto una montagna non si cura della pioggia.

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Sconosciuto

Ah il microchip, un'arma potentissima innestata nel corpo di quindicenni facendoli diventare piano piano anch'essi delle armi.
Il microchip prepara il corpo, mentre la guerra fa il resto, temprando la mente e facendo credere loro che se muoiono in battaglia allora sono morti con onore.
Quante stronzate.
Non c'è nulla di onorevole o poetico nella morte: semplicemente il cuore smette di battere e tu cessi di esistere. Quelli intorno a te bruciano il tuo corpo e dopo un paio di giorni ti dimenticano e a quel punto dov'è l'onore che ti è stato promesso?
Improvvisamente sento un dolore fortissimo alla nuca, ma prima ancora di riuscire ad urlare il dolore svanisce, non lasciando traccia dietro di sè.
"Allora ragazzo, come ti senti?" Chiede una donna con il camice bianco guardandomi attentamente. Dalla sua tasca vedo spuntare un gruzzolo di soldi e ripenso alle parole di Ajla "Tu sarai un tassello fondamentale del piano, mio adorato Compagno." Pronunciate l'ultima volta che l'ho vista, prima di essere catapultato in questo mondo fatto di cicatrici e sangue.
"Sto bene." Dico solamente alzandomi in piedi dal lettino ed uscendo dalla stanza senza degnare di un'altra occhiata la Normale. Non ho tempo da perdere in queste cose.
Le mie gambe agiscono secondo la loro volontà e mi conducono fuori, all'aria aperta e poi di nuovo dentro un albergo di lusso, dove risiedono i Normali più prestigiosi.
"Posso aiutarla, signore?" Chiede un uomo posto davanti all'ascensore, vestito di tutto punto con i colori dell'albergo: rosso ed oro.
Ecco perchè Ajla l'ha scelto: le ricorda casa.
"Attico, per favore." Dico entrando nell'ascensore grande quanto un'automobile.
Quanto spreco.
"Certo signore, ma devo chiederle di lasciare le armi qui." Dice con tono fermo, ma l'espressione tutt'altro che determinata. È nervoso e spaventato.
Deve aver già avuto a che fare con gli Alium armati fino ai denti e credo proprio che non lo abbiano ascoltato. Anzi, probabilmente lo hanno anche minacciato.
"Ma certo." Dico slacciando il fodero della spada dalla mia cintura e porgendoglielo: io non sono un Alium.
"Grazie signore." Ribatte sollevato, afferrando la spada con mano incerta e schiacciando il pulsante che mi porterà al piano numero 200.
Appena le porte si aprono con un din io esco dalla cabina e con passi rapidi mi dirigo alla porta di metallo pesante, impossibile da scassinare.
Vi appoggio la mano sopra e aspetto che legga le mie impronte digitali, sentendo la paura montare dentro di me. E io la accolgo a braccia aperte.
Appena entro, vengo accolto dal buio, che mi circonda, facendomi sentire in trappola.
"Ajla?" Chiamo, ricevendo in risposta una risata fredda.
"Mio Compagno, mi sei mancato." Mi sussurra all'orecchio, comparendomi accanto in un battito di ciglia.
Rimango immobile quando lei si sposta languida davanti a me "Dimmi, dove hai lasciato la spada che ti ho regalato?"
I battiti del mio cuore aumentano e rispondendo alla sua domanda so già cosa accadrà.
"L'ho lasciata giù alla reception. Non si può entrare armati qua dentro." Rispondo.
Io mi ritrovo a terra contorcendomi per il dolore, sentendo la pelle aprirsi in più punti a causa di un coltello rovente.
"Devi tirare fuori le palle se vuoi assomigliare a loro. Gli Alium non si curano di niente e nessuno!"
Stringo le labbra, impedendomi di rispondere o urlare per il dolore: causerei solo un'altra ondata di rabbia da pare sua.
"Sai cosa? Mi mancherai quando sarai là. Anche se il piano l'ho ideato io, mi sto pentendo della mia scelta. Ti rendi conto dell'effetto che mi fai?" Continua cambiando completamente tono, chinandosi verso di me e facendo scontrare le nostre labbra.
Un po' dolorante mi tiro su, afferrandola per il viso e approfondendo il bacio. L'ultimo.
"Ti amo, Compagno mio." Sussurra staccandosi da me e le parole hanno un sapore amaro quando le pronuncio "Ti amo, Compagna mia."

Compagni Di Guerra - Ferite AperteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora