La Cura

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Haley

La giornata è splendida: il sole brilla alto nel cielo e non sono presenti nuvole che possono in qualche modo disturbare un tempo così perfetto. I Normali camminano tranquilli, chi per andare al lavoro, chi per tornare da scuola o ancora, chi per farsi una semplice passeggiata.

A vederli così stento a credere che sappiano qualcosa di cosa sta succedendo nelle altre città. Ma come dicono tutti: beata ignoranza. A volte sapere, conoscere, rende le cose più complicate di come sono.

E forse è stato così anche per la mappa. Ammesso che sia vera...anche se non avrebbe senso mentire in questo modo e non così a lungo.

Le urla divertite dei bambini più piccoli mi riempiono le orecchie per un attimo e più per riflesso che per altro, mi giro nella loro direzione: stanno giocando ad acchiapparella, rincorrendosi come se ne andasse della loro vita. Era anche il mio gioco preferito da piccola, infangandomi e buttandomi sull'erba insieme ai maschi che erano nella mia stessa classe.

"Signorina!" Sento qualcuno esclamare a qualche metro da me, ma io non ci faccio caso finché qualcuno non mi tocca sulla spalla, facendomi girare di scatto già sulla difensiva senza neanche farlo apposta. È più forte di me, ormai.

Riconosco negli occhi dell'uomo l'allarme e velocemente si tira indietro, alzando le mani in segno di resa, come se si trovasse davanti un animale spaventato.

"Mi scusi, ma ha dimenticato alla cassa parte della sua spesa." Si affretta a spiegare, porgendomi un sacchetto di carta contenente ciò che ho comprato pochi minuti fa al supermercato.

"Oh! Mi scusi lei...grazie mille per aver-" inizio, afferrando la busta, ma mi blocco a metà movimento, facendo cadere qualche mela, che colpisce il terreno rotolando lontano da me, provocando dei forti tonfi, che sento solo io.

È come se all'improvviso avessi tutti i sensi all'erta e il sangue mi pulsa nelle orecchie.

Il mondo sembra offuscarsi per un momento e una fitta al petto mi fa inspirare bruscamente. Non è dolore mio, ma sembra esserlo per la sua intensità. Mi afferro la maglietta, stringendola in pugno, cercando in qualche modo di placare quel male che pulsa attraverso me. Fortunatamente rimango in piedi, stranamente bloccata sul posto.

David deve essere arrivato.

"Signorina, tutto be-" chiede il commesso, apparendo preoccupato e quasi disposto ad aiutarmi, anche se non può fare niente. Questo dolore che non ha nulla a che vedere con una ferita fisica, è il più doloroso e inguaribile dei mali.

"Sto bene, sto bene." lo interrompo in un mezzo rantolo, stringendo più forte la presa sul sacchetto e abbasso la testa in un ringraziamento muto, non fidandomi troppo della mia voce.

Poi spicco un salto, alzandomi sempre più velocemente da terra come se la gravità non potesse farmi nulla e anche se ora il dolore è diminuito, non rallento la velocità con cui sto procedendo sopra i tetti delle case, arrivando in appena un paio di minuti alla porta d'entrata degli Hunt, spalancata.

Ed è qui che sento i primi ringhi.

Non hanno perso tempo.

Mollo la spesa all'entrata, seguendo il rumore di vetri rotti e parole rabbiose sputate nell'aria una volta silenziosa.

Un'altra fitta, stavolta alla gamba sinistra, mi fa sibilare ed aumentare l'andatura, quasi correndo, superando la cucina ed uscendo nel retro, venendo travolta dalla scena in tutta la sua brutalità.

E la promessa fatta ieri sera, di non intervenire, mi blocca il respiro in gola, impalandomi sul posto, i piedi ancora sulla veranda ma con il pensiero sull'erba verde che sta iniziando a macchiarsi di rosso, lo stesso sangue che scorre in entrambe le parti.

Compagni Di Guerra - Ferite AperteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora