SETTE.

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Le lezioni passano in fretta per fortuna e posso tornarmene a casa.

Quando esco da scuola, il vento è aumentato, tira fortissimo e inizio a pensare sempre più seriamente che Cam avesse ragione: a momenti vengo spazzata via da quella che la professoressa di storia ha chiamato “leggera brezza oceanica”. Fa davvero freddo, rispetto a ieri si intende.

Stamattina ero talmente presa dal cercare le mie scarpe che non mi è neanche passato per la testa di prendere una giacca. Fa niente, esco stringendo con una mano una bretella dello zaino che ho sulle spalle, con l’altra mi copro il viso per non beccarmi il polverone della terra che si alza negli occhi. Prima che io possa arrivare alla fine del vialetto che unisce la High School alla strada, vengo scossa da un brivido.

Esattamente in quel momento, Cameron mi passa velocemente a fianco e lascia cadere sulle mie spalle la giacca di pelle nera che indossava anche quella mattina. Mi giro verso di lui per ringraziarlo, ma lo vedo scomparire dietro l’angolo, dove c’è il parcheggio per le macchine.

Proseguo per qualche metro, poi mi blocco.

Sulla soglia della porta, in mezzo alla marea di studenti che chiacchierano tra loro ed escono da scuola, vedo spuntare le scarpe col tacco viola scintillanti della preside, seguite dalla faccia furiosa della donna.

Vedo tutti gli studenti dare un’occhiata confusa alla preside, mentre quest’ultima si guarda in giro in cerca di qualcuno, credo.

Poco prima che la donna posi gli occhi su di me, lascio cadere la cartella a terra per infilare la giacca di Cam. Faccio appena in tempo a raccogliere lo zaino, che la preside prende a fissarmi.

Di sicuro ce l’avrà con me e Cam. Glielo si legge negli occhi. Come minimo è arrabbiata per il fatto che Cam, al posto che essere con sua figlia, è con me. O almeno, lo era stamattina.

La preside mi lancia un’ultima occhiata di avvertimento, che a dire il vero non riesco ad interpretare.

Non appena la Umbridge versione tacchi a spillo viola scompare, mi avvio verso casa sfidando il vento.

Sharon l’ho persa di vista, perciò mi incammino da sola. Il vento, che sembrava essersi leggermente calmato, riparte a soffiare con molta potenza. Infilo le mani in tasca e i stupisco quando sento che non sono vuote. Afferro, qualsiasi cosa sia, il contenuto della tasca di destra. È un foglietto che dice con una scrittura disordinata: ‹‹Scusami tuffatrice, poi ti spiego.››.

Prendo anche quello che c’è nell’altra tasca. È un altro foglietto, più sottile stavolta e scritto in maniera più ordinata. ‹‹Ti voglio bene, comunque❤️›› dice questo.

Non appena lo leggo, sorrido automaticamente. Non pensavo che un bigliettino tanto piccolo avesse il potere di far sorridere così tanto una persona.

Finisco per arrivare a casa correndo, non so se più per la voglia di attaccare quel bigliettino, il secondo, da qualche parte, o per la paura di essere spazzata via. Appena entro in casa, mi sbatto la porta alle spalle per non far entrare il vento. Ne ho abbastanza di aria per oggi.

Salgo al piano di sopra per posare la cartella vicino alla scrivania. Solo nel momento in cui lascio cadere lo zaino a terra mi rendo conto di avere addosso qualcosa che non è mio: la giacca di Cam.

Tolgo entrambi i bigliettini dalle tasche e, per prima cosa, appendo quello con il “Ti voglio bene” vicino al letto. L’altro sento che entrerà a far parte della brace del primo barbecue che farò (sempre se ne sarò in grado).

Scrivo subito a Cam se posso andare un secondo da lui a restituirgli la giacca. La risposta non tarda ad arrivare e ovviamente è un si.

Decido che è meglio andare da lui subito, prima che mi dimentichi.

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