Quando ricevetti quella notizia capì davvero che il mondo non era un ufficio realizzazione desideri. Per una persona normale a diciassette anni è legittimo pensare a quando perderai la verginità oppure a quanto sia bello un ragazzo. Di certo non pensi che in due mesi un tumore ti porti via il tuo "quasi" fidanzato. Non pensi che da un momento all'altro sua madre ti chiamerà dicendoti "se n'è andato, non tornerà più." Non pensi di andare a vedere il corpo senza vita di un povero diciottenne di cui sei, o meglio "eri", perdutamente innamorata.
Quando lo vidi un miscuglio di emozioni scoppiò in me: di scatto sorrisi ma scoppiai a piangere. È stata la prima volta in cui ho capito cos'era davvero il dolore. Come si provava ad essere incompleti, imperfetti.
Non riesco più ad essere felice perché lui non c'è. Lui è dentro quattro mura di legno ed è coperto da tre metri di terra.
Non respira più la mia aria, non cammina più sulla mia terra ma soprattutto non sfiora più le mie labbra.
Vorrei dirvi anche che ha mantenuto il suo sorriso fino all'ultimo, che ha lottato fino alla fine ma questo è un terribile e doloroso no.
Ha sofferto e non sorrideva quasi più, aveva continui sbalzi di umore e questo era un terribile dolore che bruciava nel mio petto. Il suo viso era scavato e nemmeno più si riconosceva, aveva gli occhi tutti segnati e la sua smorfia era sempre triste. Non era più il mio Nico. La malattia lo aveva trasformato.
Era passato un mese dopo la sua morte, erano i primi giorni di settembre. Una mattina, mentre facevamo colazione, mio padre era terribilmente teso: ero certa che dovesse dirci qualcosa.
«Ragazze...» disse mio padre prendendo la mano di mia madre.
«...in azienda mi hanno proposto un contratto migliore.»
Lo guardai sorridendo e gli feci un sorriso per fargli capire che ero fiera di lui.
«Ci trasferiamo a Milano.» dissi freddamente.
Lo sguardo di mia sorella si ghiacciò.
Lasciò su un tovagliolo il cucchiaio per non sporcare la tovaglia e poi si alzò di scatto.
«Tu non hai accettato vero?» disse lei con voce spezzata.
«Ho pensato che anche per Fede era meglio cambiare aria e pensare di meno a tutto quello che è successo quindi ho accettato.» rispose lui abbassando la testa.
«Bravo però a me chi ci ha pensato?!»
Vedevo la sua vena pulsare e la rabbia a mille.
«Io non mi muovo di qui!» disse urlando.
«Arianna ti prego: non rendere tutto più difficile perché lo sai che tanto partiremo lo stesso.» rispose mia madre.
La guardò male e poi scappo in camera sua. Io avevo lo sguardo basso: mi sentivo la colpa della sofferenza di mia sorella.
Mio padre abbassò la testa e per poco non scoppiò a piangere.
Fin da quando eravamo piccole ha sempre cercato di fare tutto il possibile per noi. Cercava di darci tutto quello che gli chiedevamo. E ora?
Ero triste, profondamente triste vedendolo così amareggiato e così deluso di sé stesso. Lui lavorava molto per renderci felici e questo era il modo in cui lo ripagavamo.
«Fede, per te va bene questo trasferimento?»
chiese mia madre con sguardo preoccupato.
Loro non avevano capito niente di quello che stavo provando. Non capivano che io non volevo dimenticarlo ma vivere in eterno con quel ricordo.
Forse avevo bisogno solo di un po' di svago o magari nuove amicizie ma no, non dimenticare tutto quello già trascorso.
Annuì con la testa.
«Quando partiamo?» chiesi schiarendomi la voce.
«Domani mattina.» disse mia madre accarezzando la schiena di mio padre.
Annuì.
Andai in camera mia per preparare tutto.
Era terribilmente stressante trasportare il mio armadio all'interno delle valigie ma dovevo farlo per il bene della famiglia.
Tolsi tutti i poster dalle pareti, tutte le foto, tutti i cartelloni tra i sorrisi e le lacrime perché i flashback mi assalirono e mi invasero.
Il giorno dopo mi svegliai molto presto con gli occhi inumiditi e le labbra secche. Mi ero addormentata sul letto quella sera, tra i ricordi e tantissime lacrime amare.
Presi le valige che avevo preparato con cura e le portai in macchina.
Dopo circa due ore partimmo e ci dirigemmo verso la stazione dove avremmo preso il treno per recarci a Milano.
Facemmo tante ore di viaggio passate tra chiacchiere, sonnellini e momenti di angoscia.
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Fiksi Penggemar[COMPLETATA] Riccardo: "Non c'è bisogno di dediche. Non c'è bisogno di grandi parole, non c'è bisogno di ripeterti in continuazione quanto io ti ami. Lo sai. Lo sai bene. Tu sei uguale a me, io sono uguale a te. Io mi rivedo in te, tu ti rivedi in m...