Capitolo 3

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Se c'è uno strumento che può salvarci, è rappresentato dalle parole, diceva Emma Cristaldi, la mia professoressa di Latino e Greco al liceo.
Per questo ho deciso di applicare il suo insegnamento votando la mia vita alla scrittura.
Solo che non è "casa" la parola che mi viene in mente nel momento in cui Cinzia, Maurizio e io varchiamo la soglia del casermone dove ancora si ostinano a vivere i miei, un portone mangiato dalla ruggine da quando ne ho memoria.
Dagli altri appartamenti, la gente ci spia, come sempre, ma ci riconosce: siamo carichi di bagagli e vestiti in modo da tradire la provenienza dalla città, ma siamo del Quartiere e questo basta a lasciarci in pace.
Questo atteggiamento mi fa pensare che siano cominciati a venire i giornalisti.
《Ma una mano di vernice mai, eh?》commenta Cinzia dando un'occhiata al portone. Piccolina, magra e sarcastica, ha preso tutto da sua zia.
《Sono tredici anni che conosci questo posto, l'addetto non arriverebbe vivo alla fine della tintura》rispondo.
Ha ancora molto da imparare su come funziona da queste parti.
《Vabbè, io intanto suonerei il citofono...》interviene Maurizio, dodici anni e il pragmatismo di suo padre.
Al citofono non risponde alcuna voce, a mia madre non serve chiedere che siamo noi per aprirci. Lo sa e basta. Nessuno si è mai fatto troppe domande qui: è l'unica maniera per andare avanti.

                                 ***

Mia madre ci accoglie vestita a lutto: è l'ombra di se stessa, più del solito.
Lei e Laura non sono mai andate d'accordo: non si somigliavano affatto.
《Vi fermerete molto?》chiede con tono speranzoso. Non vuole rimanere da sola con mio padre. I lividi sul suo collo mi lasciano intendere che tra loro è come sempre un inferno.
Mi piange il cuore a dirle il contrario, che no, non ci fermeremo a lungo, giusto il tempo di verificare come stanno tutti, e se mia sorella ha lasciato scritto qualcosa - quando hai trentasette anni e nessun motivo per lasciare questo mondo non hai ultime volontà, ripeto, ma Laura non era un tipo comune.
《No, ci fermeremo solo qualche giorno》ammetto.
Lei sorride mestamente e ci fa strada dentro casa. Mi sembra di tornare indietro nel tempo di vent'anni: là fuori - dal Quartiere, s'intende - il mondo è andato avanti; qui invece sembra essere rimasto tutto uguale.
Ecco perché non riesco a definirla "casa" : Laura, Antonio e io eravamo troppo mutevoli, soggetti al cambiamento per non andarcene.
Lei era la più soggetta di tutti e tre, ma paradossalmente è stata l'unica a non farcela.

                                 ***

《I ragazzi possono sistemarsi nella camera di Laura, tu in quella che era la tua》fa mia madre.
I ragazzi, troppo intelligenti per farsi condizionare dal fatto di dormire nella camera di una morta, si sistemano senza problemi.
Io entro nella mia e vengo invasa dai ricordi: la mamma ha lasciato tutto com'era dal giorno in cui me ne sono andata; anche in camera di Laura la situazione è uguale: lei la prendeva in giro per questo, diceva che nelle nostre camere c'erano gli altarini, che farne alle persone vive portava male - come volevasi dimostrare.
Io la giustificavo invece, secondo me era un modo per sentirsi più vicine, per far finta di non essere sola con nostro padre: mia sorella rispondeva che era ciò che si meritava, che aveva avuto quarant'anni di matrimonio per denunciarlo e non l'aveva fatto.
C'è tutto quanto: le bambole, i peluche, i dischi, i poster dei cantanti e degli attori in voga negli anni ottanta e novanta.
E poi le foto, tantissime foto: con mia sorella, con Antonio e Claudio, con Enrico Baschetti, con gli amici del Quartiere, con quelli del liceo e dell'università.
I loro volti mi guardano, mi fissano e mi giudicano, si fanno beffe di me.
Questa notte Laura è venuta a trovarmi in sogno: era accanto a me, riflessa nello specchio del bagno.
Mi giravo ma vicino non avevo nessuno. Lei sorrideva e mi salutava.
《Ciao, sorellina. È molto divertente. Tutto molto divertente》sosteneva.

                                  ***

Il giorno dopo viene a trovarmi Antonio.
《Come stai?》mi chiede.
《Stanotte l'ho sognata. Rideva. Mi prendeva in giro》rispondo.
《Ci prendeva in giro tutti》afferma lui.
《Sono già venuti i giornalisti?》gli domando.
《Non ancora》dice lui.
《Meno male, i miei non li sopporterebbero. Non da soli, almeno》ipotizzo.
《Cerca di non pensarci. Sei già entrata nella sua stanza?》mi domanda.
《Non ancora. I ragazzi hanno dormito lì》faccio io.
《Adesso è vuota. Te la senti di entrare?》mi propone.
《Ok》rispondo. Lui entra, io lo seguo. Anche qui non è cambiato niente. Perfino le pareti parlano di lei.
Ogni oggetto riconduce alla sua persona, alle sue espressioni facciali, ai suoi cambiamenti di umore, alle intuizioni geniali a cui non arrivava nessun altro.
Ci sono molti libri: a mia sorella piaceva leggere e anche scrivere, ma non è riuscita a coltivare queste sue passioni negli ultimi quindici anni; tra il matrimonio, i figli, il bar e il ferramenta non c'era molto tempo per simili attività intellettuali.
《Quanti misteri possono ancora addensarsi nella sua vita?》commenta Antonio.
《Troppi. E non so se li sapremo mai tutti quanti》sospiro.

                                  ***

Quando iniziai a scrivere, giurai che non avrei mai raccontato di me, di Laura, di Antonio e del Quartiere.
Ma con la morte di mia sorella ho dovuto infrangere questo mio giuramento: è per questo che sono qui, sveglia, in questa notte di periferia, davanti al mio portatile; voglio parlare di lei, del suo legàme unico con Antonio, della sua intelligenza e della sua infelicità; voglio renderle giustizia, a modo mio.
Magari, dovunque sia adesso, apprezzerà il tentativo.

La bambina cattiva [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora