Capitolo 6

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Fu a causa di quell'evento, o di quelli che si verificarono nei due anni successivi - la fine del maxiprocesso, gli attentati ai magistrati, i rapimenti a tappeto da parte dell'Anonima Sequestri, le lotte operaie - che mia sorella maturò la precoce consapevolezza che ci fosse tutto un mondo al di fuori del Quartiere, e concepì il pensiero più alto della sua vita.
《Il Quartiere è una cappa grigia e soffocante, che appiattisce le nostre esistenze verso il basso》decretò mentre eravamo in cortile.
《Che vuoi dire?》domandò Sara, che giustamente a otto anni non elaborava pensieri di una tale complessità.
《Voglio dire che fuori da qui c'è un mondo grande e pieno di cose che succedono, mentre noi siamo sempre qui fermi sotto questa cappa. Ma la gente è tutta scema e gli va bene così》rispose Laura.
I suoi occhi brillavano di una luce particolare, che solo Antonio e io riuscimmo a scorgere.
Lei era diversa, non solo da lui o da me, ma da tutti gli abitanti del Quartiere: viaggiava su altri binari, correva come un treno ad alta velocità, mostrava insofferenza verso chiunque non stesse al passo con lei.
Litigava spesso con nostro padre, ma non sopportava neanche nostra madre: la sua paura più grande era quella di finire come loro.

                                ***

Mio padre, Rinaldo Martini, era un uomo grande e grosso, con un aspetto e uno sguardo che incutevano timore a tutti nel Quartiere; per questo era spesso mediatore delle più aspre contese che si svolgevano dentro e fuori il suo bar: ognuno voleva tenerselo buono perché se ce lo avevi contro diventava pericoloso; le sue immense mani potevano trasformarsi in un'arma peggiore di una pistola, di un coltello o di una spranga.
Mia madre, Maria, lo sapeva bene: aveva ventun anni quando lo aveva sposato, era bella, ingenua e romantica; credeva di aver trovato il principe azzurro, e invece subito dopo il matrimonio era cominciato l'inferno.
Quando la picchiava non si fermava nemmeno davanti a noi figlie; in quei momenti di furore, un che di inumano balenava nei suoi occhi.
Poi si calmava, e tutto tornava come se nulla fosse accaduto. Ma i lividi sul viso, sulle braccia, sulle gambe di lei parlavano chiaro.
Ci siamo sempre chieste, Laura e io, perché la mamma, in tanti anni di matrimonio, non avesse mai trovato, nemmeno per un attimo, il coraggio di denunciarlo; mia sorella sosteneva che non avesse abbastanza carattere per contrastare la personalità strabordante di nostro padre, e che per questo gli fosse succube.
Per me invece la questione è sempre stata più complicata, e osservando, molti anni più tardi, la vita ovvia che scelse di vivere accanto a Giovanni, mi resi conto che forse lei e la mamma non erano poi così diverse l'una dall'altra.

                                 ***

Ripensandoci, però, non sono stati sempre così.
Non all'inizio, almeno.
A dire la verità, quando si sposarono erano davvero felici: i loro sorrisi nelle foto erano autentici, non una maschera per nascondere un dolore di base.
È stata la vita nel Quartiere a cambiarli.
Sono stati il degrado, la violenza, l'abbandono a trasformare in cani rabbiosi tutti coloro che imboccavano il Viale dei morti ammazzati, che si addentravano nei vicoli sporchi e bui, che si stabilivano nei casermoni.
Negli ultimi tempi c'è stato un processo di riqualificazione di questa parte della città: locali, spazi di ritrovo, fermate della metropolitana hanno fatto la loro comparsa qui da noi e in tutte le altre zone che si trovavano, più o meno, allo "sprofondo".
Ma quest'ultimo non è una concezione geografica, è più uno stato mentale, insito e radicato negli animi della gente come noi, da sempre considerata meno di niente, e che non si potrà estirpare, mai, anche se i più idealisti ci metteranno tutta la buona volontà.
Neanche la metro ti avvicina, quando lo "sprofondo" ti viene da dentro.

La bambina cattiva [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora