Capitolo 32

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I mesi passarono, e Laura, Livia, Anna e io ci sentimmo perennemente sul filo del rasoio, temendo che il nostro piano venisse scoperto; poteva infatti saltare per qualsiasi motivo: se Sara fosse tornata da Londra prima di un anno, se la gente del Quartiere avesse cominciato a parlare, se Italo avesse avuto dei sospetti.
Intanto il 1997 finiva, iniziava il 1998: al cinema proiettavano il film "Titanic", che subito aveva vinto undici Premi Oscar; in Giappone partivano le Olimpiadi Invernali, in Francia i Mondiali di calcio; Microsoft lanciava sul mercato informatico il programma Windows 98; l'Ecofin preparava una lista di Paesi aderenti ad una nuova moneta che stava per essere coniata, l'euro.
Il mondo cambiava, e volevamo cambiare anche noi, ma provenivamo pur sempre dal Quartiere, e per quanto ci sforzassimo di non assomigliare all'ambiente che ci aveva prodotto, ricadevamo sempre negli stessi errori.

                                  *** 

Quando mi accorsi di essere incinta, mancavano pochi giorni al rientro di Sara a Roma.
Non ne avevo ancora parlato con nessuno, mi vergognavo, non tanto perché avessi solo quindici anni - le gravidanze delle minorenni erano comuni nel Quartiere, e nessuno se ne stupiva - ma soprattutto perché avevo la maledetta certezza che non fosse di Enrico, ma di Claudio.
Quando si cresce gomito a gomito, nascono dei legàmi più forti di quelli di sangue, e io e Claudio, come i nostri fratelli maggiori, avevamo condiviso tutto: i primi passi, le scuole fino alle medie, gli esami, le canne, le lacrime e le risate; era naturale che avremmo condiviso anche il letto, ma non ci avevamo pensato: stavamo giocando con un panno sporco di grasso nell'officina dove lavorava lui; ci siamo sporcati anche noi; ci siamo tolti i vestiti, l'abbiamo fatto senza protezioni: non era da me fare a meno dei preservativi, per questo mi vergognavo, e inoltre avevo tradito Enrico.
Non avrei potuto nemmeno farlo passare per figlio suo: col tempo avrebbe notato le somiglianze coi Leonardi, fatto due più due e scuoiato vivi sia me che Claudio.
Dovevo interrompere la gravidanza prima che diventasse troppo rischioso; avevo bisogno di parlarne con qualcuno, e ricorsi a mia sorella.

                                 ***

Quando glielo dissi, per poco non mi si mangiò.
《Ma sei completamente cretina?》sbottò infatti. 《Capisco Claudio che non l'aveva mai fatto, ma tu potevi stare attenta!》mi rimproverò.
《Lo so, ho sbagliato, ma adesso non ti ci mettere anche tu, già sono terrorizzata dalla possibile reazione di Enrico...》replicai.
《E farebbe bene ad incazzarsi! Ma dico io, hai un ragazzo bello, gentile, innamorato e responsabile, e lo tradisci con Claudio, che è il tuo migliore amico?》ribattè lei.
《Ammetto di aver fatto una cazzata, Laura, ma ho deciso di rimediare al danno prima che diventi troppo evidente...》confessai.
《Vuoi abortire?》mi chiese.
《Esattamente》risposi.
《E allora bisogna andare all'ospedale dove ci ricoveravano da bambini, lì praticano anche le interruzioni di gravidanza. Me lo ha detto Ambra, la figlia dei portinai del palazzo di fronte》decise.
《Ed è igienico e sicuro?》domandai.
《Sì, non ti preoccupare. Loro sterilizzano tutto, e poi non sentirai dolore. Te lo aspirano e via. Non ti sentirai nemmeno di averlo ucciso, visto che non si è ancora formato》mi rassicurò mia sorella. La lucida freddezza con cui riusciva a ragionare mi spaventava, ma non avevo alternative e perciò mi affidai a lei.

                                  ***   

L'ospedale era esattamente come me lo ricordavo dall'ultima volta che ci ero entrata; certo, non ci avevo passato anni come molta gente che conoscevo, ma l'odore di medicine e di malattie era inconfondibile, e appena aveva cominciato ad arrivarmi nelle narici ero stata tentata di scappare, ma mia sorella mi aveva presa per mano e mi aveva portato da una dottoressa dall'aspetto rassicurante; Laura le aveva spiegato la situazione, dicendole da dove venivamo, poi la donna mi diede un'occhiata e mi condusse in una stanza con un lettino e un apparecchio che non mi ispirava nessuna fiducia.
Tremavo, per questo la dottoressa mi mise una mano sulla spalla.
《Non sentirai alcun dolore. Tra poco sarà tutto finito》mi rassicurò.
Entrarono due infermiere che mi aiutarono a spogliarmi, lasciai indosso solo il reggiseno e mi sdraiai.
Dopodiché cominciarono ad armeggiare con l'apparecchio che mi terrorizzava: una mi fece l'anestesia locale, l'altra mi conficcò una pompa nel buco del culo e cominciò ad aspirare, come mi aveva detto Laura.
Durò poco, ma mi sembrò un'eternità: con un brivido di disgusto mi feci aiutare a rimettere i vestiti. 

                                  ***

Laura venne a trovarmi appena tutto finì. Aveva l'aria preoccupata e stanca.
《Come stai?》mi chiese.
《Vorrei che non fosse successo. Mi ha fatto schifo》risposi con la voce incrinata.
《Lo sai che era l'unica soluzione possibile. E poi hai deciso tu di abortire》mi ricordò giustamente.
《Un conto è dirlo, ma adesso che me lo hanno aspirato mi sono resa conto che gli ho lasciato aspirare via il mio bambino...》trovai il coraggio di dire.
《Se lo avesse scoperto papà o Enrico, ti avrebbero fatto abortire loro a forza di calci in culo. Preferivi questo?》fece lei con la delicatezza di un elefante in un negozio di porcellane.
《Io...》cercai di rispondere, ma lei mi fece segno di tacere.
La dottoressa che si era occupata di me e un suo collega si erano piazzati davanti alla stanza dov'ero io.
Parlavano abbastanza forte che sembrava stessero dentro con noi.
Laura e io li ascoltammo da dietro la porta.
Dicevano che non ero la prima, che tante ragazze del Quartiere erano venute lì per abortire, ma sostenevano anche che facevamo una scelta più giusta di quella delle altre che decidevano di tenerseli, quei poveri bambini figli di padri ignoti - fidanzati pavidi o rapporti occasionali - e che, mettendoli al mondo senza prospettive, li condannavano a crescere con ancora meno prospettive di loro.
Noi del Quartiere eravamo gente senza speranza, lo dicevano sempre, in città.
È facile giudicare, dall'alto di una posizione sociale superiore.

                                  ***

Per giustificare la mia brutta cera, mia sorella raccontò che mi era venuta l'influenza, e per fortuna tutti se la bevvero, anche i nostri genitori. A Claudio non venne il minimo sospetto, ed Enrico mi venne a trovare; mi sentivo in colpa, ma non lo trapelai.
Laura cucinò per me, facendomi assaggiare la sua ultima creazione, dei tortini di ananas e carne macinata: erano particolari, mi piacevano.
In quei giorni tornò anche Sara da Londra, e quando stetti un po' meglio ci radunammo tutte nel cortile, dove lei ci raccontò della sua bambina: era femmina, l'aveva chiamata Elena.
Ne parlava con una gioia e un'emozione che mi fecero sentire ancora più sporca e sbagliata, dopo quello che avevo fatto.
Durante la convalescenza avevo letto "Lo specchio cieco" di Joseph Roth; mi ero identificata in Fini, la protagonista del racconto, la sua scarsa attitudine a stare al mondo mi aveva ricordato che la debolezza che sentivo non era fisica, ma caratteriale: non avevo avuto il coraggio di tenere in vita il bambino che aspettavo, ma non avevo neanche avuto il fegato di andare ad abortire da sola; non valevo un cazzo.

La bambina cattiva [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora