Antonio e Giulia concepirono il loro primo figlio nel gennaio del 2006, mentre a Torino si svolgevano le Olimpiadi Invernali.
Ogni volta che si svolgeva questo evento ricordavamo spesso quando eravamo piccoli e non perdevamo una gara, tifando per i diversi campioni delle varie nazioni partecipanti: i coniugi Leonardi-Serra abitavano vicino a noi e spesso erano ospiti a Villa Sciarra oppure eravamo Dario e io ad andare da loro.
Tornavamo anche nel Quartiere, di tanto in tanto, andavamo a trovare le nostre famiglie: io parlavo con Laura delle Olimpiadi, ma il mio entusiasmo per l'evento la scocciava, e per questo mi diceva che lei non aveva il tempo di pensare a simili sciocchezze, che si vedeva quanto fossi diventata una signora senza nulla da fare.
In realtà non era proprio così: negli ultimi mesi del 2005 mi ero laureata con 110 e lode e una tesi sul Teatro Tragico e avevo scritto il mio secondo romanzo, "La fuga", che parlava di una donna in fuga, appunto, dal proprio passato, il quale però continuava a perseguitarla.
In poche parole era la mia storia, il mio senso di impotenza e di inferiorità di fronte alle spietate affermazioni di Laura sulla mia vita; e io, invece di odiarla per come mi sminuiva, l'ammiravo per la sua instancabilità e la sua inesauribile energia.
Mi chiedevo come facesse a vivere con quei ritmi massacranti, se non ne uscisse devastata, ogni tanto. Domanda retorica, di cui sapevo benissimo la risposta da ventiquattro anni.
Laura non aveva paura di niente: di alzarsi tutte le mattine alle quattro, di stare appresso ai bambini piccoli, di mandare avanti il bar e di trovare il tempo anche per il ferramenta.
A confronto io, che vivevo nel lusso, ero davvero la principessa nata nel posto sbagliato che dicevano tutti, nel Quartiere.
Sapevo bene, invece, cosa significasse la vita dura, l'avevo imparato pagando a caro prezzo per arrivare dov'ero arrivata.
Ma se anche l'avessi detto, ribadito, urlato in faccia a chiunque mi fosse capitato a tiro, la mia voce sarebbe risultata incerta, stridula, poco credibile alle orecchie di qualsiasi interlocutore.***
Ma il mese di gennaio fu anche il periodo in cui accadde un altro fatto importante: l'Unione Europea fece cadere l'embargo sulla carne fiorentina, che dal 2001 era stata praticamente demonizzata a causa della mucca pazza, motivo per cui tutti, in quei cinque anni, avevamo messo molta cautela nell'acquistare la carne, sincerandoci anche in maniera esagerata sulla sua provenienza.
Negli ambienti che ormai frequentavamo Antonio e io molte persone, a causa di questo allarme, avevano deciso di diventare vegetariane, e ci siamo abituati solo col tempo, visto che nel Quartiere non c'era abbastanza cultura per capire determinate scelte alimentari - forse né lui né io eravamo riusciti a sradicare completamente quel substrato di ignoranza e chiusura mentale che ci inseguiva da quando eravamo piccoli e tentava di avvolgerci sia dentro che fuori casa.
Fortunatamente con la fine di quell'allarme potemmo tornare a tirare un sospiro di sollievo.***
A luglio l'Italia vinse i Mondiali di Germania 2006.
Era dal 1982 - l'anno in cui ero nata - che il nostro paese non si portava a casa la Coppa del Mondo, dopo averla sfiorata per un soffio nel 1994, quando Laura e Antonio superarono gli esami di terza media.
La vittoria non conobbe differenze sociali: la gente girava per strada con le bandiere tricolore e le trombette spacca-timpani sia in Prati che nel Quartiere, tutti quanti erano accomunati da uno stato di euforia generale che durò per tutta l'estate.
Fu in quel clima che Giulia partorì il primo figlio, che lei e Antonio decisero di chiamare Salvatore, come il padre della giovane Serra.
Il lieto evento li unì ancora di più: facevano tenerezza, nella loro inossidabile convinzione che niente e nessuno li avrebbe mai divisi.***
Tra il 30 novembre e il primo dicembre un terribile tifone di nome Durian si abbattè sulle Filippine, lasciandosi alle spalle centinaia di morti.
Dario e io ne sentivamo parlare molto all'interno dei caffè letterari che mi avevano spalancato le loro porte da quando avevo cominciato a scrivere.
Ognuno faceva a gara a voler esprimere la sua opinione, e la maggior parte dei discorsi che sentivo fare non mi piaceva per niente: sostenevano che nei Paesi del sud-est asiatico avevano avuto un progresso improvviso che non sapevano gestire, che non avevano le conoscenze per riconoscere uno tsunami o una tromba d'aria, che in una nazione più sviluppata un disastro simile non si sarebbe mai verificato.
Mentre mio marito ascoltava tutti quei discorsi con interesse, trovandosi anche d'accordo, io ero sempre più convinta che la matrice di tali sentenze fosse il fatto che i presenti fossero quasi tutti nati ricchi o comunque benestanti, e che il loro iniziale sgomento per ciò che era successo nelle Filippine fosse in realtà solo un appiglio per sottolineare la loro fortuna di essere nati in Europa e per dimostrare una sorta di razzismo indiretto; per me, che provenivo da un luogo dove la vita era sopravvivenza, non era difficile capire che certe leggerezze da parte dei Paesi in via di sviluppo non avvenivano per noncuranza ma per scelta, perché in qualche modo avevano bisogno di sostentarsi e se l'unica possibilità era il loro patrimonio naturale, erano pronti a sfruttarlo anche minimizzando i rischi di una natura locale indomita e capricciosa.
Ma i ricchi certe dinamiche non le capivano: vivevano in una specie di Empireo, il desiderio di migliorarsi a qualsiasi prezzo non faceva parte del loro bagaglio culturale.
Non le capiva nemmeno Dario e queste, forse, furono le prime crepe a formarsi nel nostro matrimonio; ma all'epoca non volemmo dare a queste crepe molto peso.***
Il 30 dicembre, nel bel mezzo delle vacanze di Natale, venne giustiziato tramite fucilazione Saddam Hussein, il dittatore dell'Iraq; troppo a lungo aveva schiacciato i destini della nazione col suo pugno di ferro, talmente che la sua esecuzione fu festa grande per tutto il Paese: in ogni città la gente demoliva le statue del dittatore, dava fuoco ai suoi ritratti, gridava alla ritrovata libertà.
Fu l'argomento principale per il resto delle feste, sia a Villa Sciarra che a casa dei miei che in quella di Laura e Giovanni: ovviamente mia sorella scalpitava per dire la sua ed era in quei momenti che la ritrovavo per quella che era, cioè il mio faro, il mio esempio, la mia guida grintosa e geniale, e non l'annoiata signora di borgata che aveva deciso di essere da quasi quattro anni.
Pregavo che il nuovo anno portasse altri eventi di portata internazionale, così che potessi tornare ancora a veder brillare la sua luce.
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La bambina cattiva [Saga del Quartiere Anceschi]
Aktuelle LiteraturQuesta è una storia che difficilmente può essere raccontata senza rifletterci sopra, una storia combattuta e sofferta, di menti eccelse, di luoghi problematici e d'amore. È la storia di Laura, del suo rapporto con Antonio, della sua voglia di cambi...