Capitolo 58

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Il 2015 si aprì in modo esplosivo, nel senso letterale del termine: era il 7 gennaio quando a Parigi un gruppo di terroristi islamici fece un'incursione nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, sparando a tutti coloro che ci lavoravano.
Due giorni dopo, uno dei terroristi si barricò in un supermercato kosher e prese in ostaggio i proprietari e uccise quattro persone; in seguito ammazzò anche una poliziotta.
A sentire queste notizie tornammo tutti indietro nel tempo: ripensammo al 1993, quando esplodevano bombe in continuazione a causa degli attentati di mafia; e al 2001, quando il crollo delle Torri Gemelle ci fece seriamente temere lo scoppio di una Terza Guerra Mondiale.
L'attentato fu rivendicato dalla Jihad, un'organizzazione terroristica che reclutava nuove leve soprattutto dal Web, indottrinando soprattutto giovanissimi con video su Youtube: aveva considerato oltraggiosa una vignetta satirica di Charlie Hebdo su Maometto, al punto che le persone all'interno della redazione non vennero considerate come civili ma come obiettivi. 
L'Europa si strinse attorno alla Francia, e paradossalmente fu quest'ultima a fare forza agli altri Paesi sconvolti.
Fu straordinario il modo in cui quella terra si rialzò.

                                   ***

Erano successe tante cose in quell'anno, nella mia vita: dopo il divorzio avevo cercato casa in Prati per me e i ragazzi, per permettere loro di vedere il padre tutti i giorni. Nel frattempo lavoravo ad un nuovo romanzo, che avevo intitolato "L'Apocalisse": parlava di un uomo che tornava dopo tanti anni di assenza, di una donna che lo odiava a morte, di una figlia ritrovata; erano state tutte le congetture di Laura su Italo ad ispirarmi, ma le consideravo nient'altro che congetture, mentre per lei erano una realtà che presto si sarebbe verificata.
Raccontavo ad Antonio queste cose, e lui mi consigliava di non darci troppo peso, mi ripeteva che erano le chiacchiere di una donna annoiata e che non aveva tempo di ascoltarle visto che aveva trovato di nuovo l'amore: lei si chiamava Adele, ed era la figlia di mezzo di Ruggero Di Maggio, uno degli uomini più potenti di Roma, proprietario dell'impresa di costruzioni Di Maggio Buildings S.p.A. e delle sue filiali sparse in tutto il mondo.
Adele era una di quelle donne che avevano avuto tutto dalla vita: una famiglia ricca, uno status sociale elevato, un aspetto quasi nordico - capelli biondi e occhi verdi - e un carattere che la rendeva la vera donna d'affari di famiglia, l'unica interessata a portare avanti l'attività; suo fratello maggiore Alberto infatti era professore alla Sapienza e quindi collega di Antonio, mentre sua sorella minore Lucia si era laureata in Informatica ed era una hacker infallibile.
Ma soprattutto, Adele Di Maggio era la ex moglie dell'ispettore Emanuele Fortis, da cui aveva avuto una figlia di nome Ilaria, che a diciassette anni aveva la bellezza della madre e l'intelligenza del padre.
Antonio aveva conosciuto Adele attraverso Alberto, che aveva organizzato un'uscita a quattro a cui partecipai anch'io: il risultato fu la formazione di due coppie, visto che avevo da qualche tempo una relazione proprio col primogenito dei Di Maggio.
Il giorno della presentazione al resto della famiglia fu come un esame di stato, data l'influenza di cui godeva il signor Ruggero: capelli grigi, occhi verdi e svegli, era un self-made man figlio di migranti siciliani, che dal nulla aveva costruito un impero, aveva sposato la romana Eva e con essa aveva avuto tre figli.
Rimasto vedovo, non aveva più trovato un'altra donna che gli rubasse il cuore, per quanto fosse ancora giovanile e piacente.
Si diceva che la sua fortuna fosse losca e marcia, proprio perché era stata così improvvisa e massiccia: ogni volta che lo sentiva dire alle sue spalle ci rideva su, e sosteneva che almeno tre quarti di gente che conosceva aveva fatto impicci per arrivare dov'era arrivata, sostenendo di poterli catalogare sia per ordine alfabetico che per importanza.
Era autoironico, oltre che influente, per questo Antonio e io lo apprezzavamo.

                                  ***

Il 20 marzo ci fu un altro attentato della Jihad, stavolta in un museo a Tunisi; anche lì ci furono tante vittime, e tutti noi sentimmo addosso la sensazione di essere sempre meno al sicuro.
Quando ne parlai con Laura, lei assunse l'espressione di chi stesse per dire la verità del secolo.
《Sta per succedere qualcosa》sentenziò infatti.
《Ma dai, che ti sei messa a fare l'indovina adesso?》la derisi.
Ma mi dovetti ricredere tre giorni dopo, quando tutti i quotidiani e i telegiornali riportarono quello che mia sorella si sentiva dentro dal 2011: Italo era tornato a Roma, e la squadra del commissario Fontana lo aveva arrestato; solo che il Conte Bianco - così si faceva chiamare nell'ambiente per via della coca - aveva crivellato di colpi il povero poliziotto, prima di venire ammanettato e condotto al carcere di Rebibbia dai colleghi Fortis e Pellegrino.
Quando si ritrovò tra i compagni di cella Manuel Baschetti, si beccò un pugno in faccia da parte di quest'ultimo.
《Stronzo, figlio di puttana, pezzo di merda!》lo aggredì.
《Ma che sei scemo?》si difese Italo.
《Mi ci hai fatto finire tu qui dentro, io Chicano neanche l'ho mai toccato, l'hai ammazzato tu per liberarti di me e avere campo libero con Laura!》sbraitò Manuel.
《A Laura non gliene fregava un cazzo di me anche se eri assente, e sai perché me ne sono andato?》sbottò Bianchi.
《Per far capire a tutti che eri codardo, oltre che assassino?》rimbeccò Baschetti.
《No, perché ho scoperto che ho una figlia》ribattè l'uno.
《Da Laura?》replicò l'altro, gli occhi sbarrati dalla rabbia.
《No, da Sara. È venuta lei a dirmelo, ha chiesto a Francesco di farci incontrare a Madrid》spiegò il primo.
《L'hai ammazzata, vero? Le notizie arrivano pure qua》fece il secondo.
《Ho bisogno di un'erede, Manuel. Qualcuno che porti avanti le mie attività lecite e illecite. Chiunque vorrebbe farmi fuori, sia da carcerato che da uomo libero, per questo voglio che finisca tutto in mano a Elena. Ma finché posso voglio proteggerla, per questo devi essere con me, fratello mio, e appoggiarmi non appena pianificherò la fuga》confidò Italo.
《Una volta che sei qui ti passa la voglia di evadere》gli fece notare Manuel.
《No, adesso che siamo di nuovo insieme. C'è gente là fuori che ha tutto l'interesse a saperci liberi. Fidati di me, vedrai che non te ne pentirai... Fratelli?》replicò il Conte Bianco, allungando una mano verso l'amico di sempre.
《Fratelli!》gliela strinse quest'ultimo.

                                   ***

La carica di commissario passò a Fortis, e questi e la Pellegrino non lasciarono un attimo di tregua ad Italo: lo torchiarono a forza di interrogatori, lo spremevano come un limone per sapere come mai era tornato in Italia, se era d'accordo con qualcuno e se aveva pestato i piedi a qualcun altro.
Lui li guardava con aria da sfottò, fumava una sigaretta e diceva che lui non aveva pestato i piedi proprio a nessuno, che semmai avevano pestato i suoi, magari qualche spacciatore emergente che voleva approfittare della sua prigionia per fargli le scarpe.
I due poliziotti uscivano devastati da ogni interrogatorio, convinti di stare sempre allo stesso punto e colti da un unico dubbio: o Italo li stava prendendo per il culo, oppure non sapeva niente per davvero.
Qualche giorno dopo vennero celebrati i funerali di Guglielmo Fontana: Laura era tra i presenti, vestita di nero, con i capelli raccolti e grossi occhiali scuri per non farsi riconoscere, volle portare l'ultimo saluto a quell'ex compagno di scuola un po' montato, ma molto più in gamba di tanta altra gente che aveva conosciuto in vita sua.
Sicuramente più di lei, che la sua l'aveva buttata.


La bambina cattiva [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora