Capitolo 48

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E così, contro il parere di sua madre, Antonio cominciò il dottorato all'interno della facoltà di Lettere e Filosofia: il lavoro di ricerca era duro e la paga non era certo quella che suo fratello Claudio prendeva come meccanico, ma gli dava tantissime soddisfazioni, perché sentiva che quel lavoro era l'unica maniera di essere diverso da tutto quello che lo aveva circondato fin dalla nascita.
E poi c'era Giulia, che gli era sempre accanto, lo sosteneva ed era fiera di lui; Giulia che non aveva idea del fatto che la decisione sul dottorato, Antonio l'aveva presa grazie a Laura.
Il giovane Leonardi voleva bene alla Serra, con la quale sentiva di essere sulla stessa lunghezza d'onda, ma quel bene non era potente nemmeno la metà di ciò che lo legava a mia sorella.
Ma Giulia, purtroppo o per fortuna, non poteva saperlo.

                                  ***

Anch'io conoscevo la sensazione di benessere che Antonio provava con Giulia, perché era la stessa che provavo quando ero con Dario.
La cosa che apprezzavo di più in lui era la sua straordinaria capacità di essere una persona normale senza la paura di risultare incolore, insapore o informe per questo.
Sapeva muoversi al centro della Curva di Gauss, ma riuscendo perfettamente a non scivolare nella banalità. Non era una cosa da tutti.
Questo perché apparteneva ad un'altra categoria di gente, ad un altro mondo rispetto a quello che conoscevo, dove la cultura, la libertà e l'apertura mentale sono naturali, obbligatorie, quasi scontate per andare avanti in quegli ambienti; per quelli come me, come Laura e Antonio, che vivono in formicai abitativi, e crescono tra botte, insulti e canne, la capacità di distinguersi diventa l'unico strumento per evadere da una normalità che viene visto, invece, come un nemico da combattere.
L'avevo dunque combattuta per anni e ancora la stavo combattendo, ma dell'ultima mossa mi vergognavo come una ladra, dato che avevo fatto mio il romanzo di mia sorella e speravo che qualche editore desse all'elaborato scritto una possibilità di cui mi sarei sicuramente accaparrata tutto il merito.
Il problema era che mi sarei sentita una merda, non avrei avuto il coraggio di guardare Laura negli occhi quando invece chiunque altro, al mio posto, non si sarebbe fatto scrupolo a vendere anche la propria madre - o la sorella, proprio come avevo fatto io.
Non ero capace neanche a pugnalare alle spalle. Non ero capace a fare niente.

                                  ***

A Laura, però, probabilmente in quel periodo non sarebbe importato di questi miei piccoli impicci, visto che aveva altro per la mente.
Qualcosa la preoccupava e io lo sapevo, solo che non riuscivo a capire di che cosa si trattasse: sapevo solo che la faccenda comportava dei contrasti tra lei e Giovanni, e che il motore di tutto era Francesco, la sua onnipresenza negli affari - anche legali - di famiglia, il suo pugno di ferro opprimente e devastante su tutto il Quartiere.
《Perché non mi dici che hai?》le domandavo ogni volta per spronarla.
《Perché non c'è niente da dire》mi rispondeva lei da dietro il bancone del ferramenta.
《Sei infelice. Si vede lontano un miglio》affermavo allora.
《Tu ti inventi le cose, sorellina. Stai troppo tempo a studiare!》mi prendeva in giro.
《Ma ti senti, Laura? Ti nascondi dietro uno scudo di sarcasmo per non far vedere che soffri, che avresti voluto fare anche tu il dottorato come Antonio e invece te ne stai qui, in mezzo ai chiodi e alle cornici, a lamentarti della passività di tuo marito e della tirannia di tuo cognato e non fai niente, niente per cambiare la situazione!》replicavo.
《Vale, tu non non capisci...》ribatteva.
《No, non capisco... Illuminami!》la sfottevo.
《Qui non è come le rivoluzioni di cui sentivamo parlare da piccoli. Certe situazioni non cambiano》rimbeccava, spiazzandomi.
Le nostre conversazioni finivano sempre allo stesso modo: io che le chiedevo perché, con le sue doti straordinarie, avesse scelto invece una vita comune, banale; lei che mi allontanava, dicendomi che non capivo niente, che non capiva nemmeno Antonio, e che dovevamo smetterla di farle la paternale, tutti e due. Allora cambiavo tattica, le chiedevo quale fosse l'ultimo libro che aveva letto: lei mi rispondeva che per i libri non aveva tempo, che l'unico libro di cui le importava era quello rosso dei debitori della signora Leonardi, sperando di non finirci mai sopra.
Ogni volta, nei nostri incontri, speravo di ritrovare la vecchia Laura, quella che sfidava le regole non scritte del Quartiere per studiare e acculturarsi, e ogni volta, puntualmente, mi ritrovavo davanti un'arida commerciante di periferia; e pensavo che, se non ce l'aveva fatta lei a scappare dal mondo dei nostri genitori, dei Santini, dei Leonardi, dei Bianchi, dei Baschetti e dei Di Stefano, era perché forse non ne aveva tutta questa voglia.
Si dice che chi nasce tondo non può morire quadrato: questo proverbio incarna perfettamente l'indole di noi gente del Quartiere.
Per quelli come noi non c'è redenzione, possiamo passare tutta la nostra esistenza a cambiare e migliorarci, ma i nostri modi brutali e la nostra ancestralità staranno sempre lì, ad aspettarci al varco, tipo appuntamento col destino.

                                  ***

Ecco perché facevo di tutto per evadere, per fuggire da quel meccanismo infernale e schiacciante che mia sorella già temeva a partire dai suoi otto anni; e lo facevo con tutti i mezzi che avevo a disposizione: la laurea, il romanzo, il fidanzamento con Dario.
Cercavo una giustificazione al mio abominevole gesto, un metodo per zittire i miei sensi di colpa: ma se questa storia fosse andata a buon fine avrei dovuto trovare il coraggio di affrontare il suo sgomento, la sua perplessità e la sua rabbia.
Solo che speravo che questo confronto si verificasse il più tardi possibile.

La bambina cattiva [Saga del Quartiere Anceschi]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora